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E dopo il no la riforma federalista? scusate, ma mi vien da ridere

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di GIANLUCA MARCHI

referendum-bandieraDico da subito che io non ho votato per il referendum costituzionale di domenica. Come d’altra parte non voto da anni per tutto ciò che riguarda la politica itagliana. Non ho comunque difficoltà ad ammettere che la riforma sonoramente bocciata faceva piuttosto schifo in termini assoluti, al punto che, provocatoriamente, ero arrivato a sostenere il paradosso del tanto peggio tanto meglio qualora l’approvazione di quanto voluto dal duo Renzi-Boschi (senza però dimenticare che il grande regista di tutto ciò è stato Giorgio Napolitano, che da oggi dovrebbe tacere per sempre) avesse fatto saltare per aria lo stato, come qualche sostenitore del No andava ribadendo.

E tuttavia non riesco a comprendere le ragioni di un certo entusiasmo per l’esito della consultazione palesato da certi mondi indipendentisti e/o autonomisti. Qui s’è realizzato un paradosso reale: coloro che per anni hanno considerato la Costituzione italica alla stregua di carta igienica (almeno certe sue parti), sono finiti per essere oggi i suoi strenui difensori. E pensare di uscire da questa fogna sostenendo che adesso si aprirebbero vaste praterie per un reale riforma federalista, a mio modesto parere altro non è che una pia illusione. Mi auguro di sbagliare, ma sono alquanto pessimista al riguardo. Con quali compagni di viaggio dovrebbe realizzarsi tale riforma? Con Grillo, con Di Maio, con Bersani, con D’Alema, con Berlusconi, con Brunetta, con Calderoli? Ma fatemi il piacere…

L’itaglia è un paese decotto e fallito, ma anche irriformabile. Sarebbe tutto da buttare nel cesso (come scrissi molto tempo fa), ma gli itagliani non vogliono proprio farsene una ragione, e si aggrappano a ogni incantatore di serpenti che promette loro che il paese può svoltare e risalire la china. Si, la china del precipizio finale. Forse potrebbero rendersi conto in quale guano sono sprofondati, anche e soprattutto per propria responsabilità, solo il giorno in cui la famigerata Troika dovesse arrivare a portargli via i soldi dal conto corrente o a tassare i prelievi col bancomat, come sta per avvenire in Grecia.

Ma tant’è. Delle sorti politiche dell’itaglia non me ne frega più nulla da tempo. A questo punto mi interessano (anche se non so ancora per quanto) solo le sorti della Lombardia. Sinceramente non me ne frega più nulla nemmeno di quel che farà il Veneto. Attenzione: io amo il Veneto, e non per nulla trascorrerò il prossimo Natale proprio in quelle terre, ma ormai da tempo mi sono convinto che il mondo indipendentista e autonomista veneto non sopporta per nulla la Lombardia e i lombardi, li teme, anzi quasi li odia. Diciamocelo chiaramente: anche questa deriva è in gran parte retaggio della stagione leghista-bossiana. Bossi non ha mai capito una beata fava del Veneto e dei veneti, li ha sempre vissuti con sospetto, cercando di tenerli sotto il suo tacco. E così tutto è andato a donne di facili costumi…

Quindi, al punto in cui siamo arrivati, è giusto che ognuno vada e faccia la propria strada. Non escludo che un giorno i percorsi possano re-incrociarsi, ma oggi come oggi mi sembra qualcosa di irrealistico. Lo so che così dicendo arreco un dolore al maestro di tutti noi, l’irripetibile Gilberto Oneto, vero alfiere della Padania e sostenitore del fatto che solo una massa critica come quella dei popoli padani sarebbe in grado di mettere in ginocchio lo stato itagliano. Ma coloro che hanno politicamente fatto proprio il concetto di Padania, alla fine l’hanno tradito, anzi l’hanno vilipeso. E adesso servirà quantomeno una lunga traversata del deserto per ridare un senso condiviso a quella parola.

Come dicevo mi resta la Lombardia, anche se non c’è proprio da stare così allegri. Ma questa regione e i suoi cittadini, con i numeri e la forza che ancora possono mettere in campo, hanno la capacità di dare un calcio in culo all’itaglia  quando prenderanno coscienza che non possono più continuare a essere gli schiavi fottuti dello stato italico e non si faranno più prendere per i fondelli da storie tipo quella del 75% delle tasse sul territorio. Saranno capaci di una tale ribellione? Domanda ardua a cui dare una risposta, ma forse vale ancora la pena di dare una mano a cercare di provocarla questa ribellione.

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5 COMMENTS

  1. Le rivoluzioni che cambiano lo stato delle cose non sono mai di “popolo”. Sono sempre manovrate da una frangia di persone che riesce a muovere la pancia del “popolo”(di molte più persone).

    Con poche idee, frazionate un po’ come viene ….e confuse quanto basta, quella frangia finisce per spaventare invece che coagulare i le moltitudini di persone belanti.

    Si ottengono anzi sentimenti di rifiuto del salto nel buio. Perché è evidentemente buia la proposta, bui i metodi ed i principi sui quali questa dovrebbe fondarsi e penetrare le coscienze del numero rilevante di persone destinatarie del messaggio di libertà.

    Cercare di modificare ed accordare i fini che ognuno ha in zucca è una missione impossibile. Questo è il migliore modo per garantirsi non fare passi avanti sia nei numeri piccoli che nei grandi numeri. (Catalunya docet)

    E’ possibile o più probabile ottenere risultati concreti attraverso azioni che non siano pseudo-finaliste.
    Si tratta di evitare cioè di incespicare nella prima “palla” di un politico o di certa filosofia. L’uso, infatti, dell’epica attraverso la retorica per disegnare un sistema di potere è uno strumento di propaganda di fini pre-confezionati. Sono tra l’altro irrilevanti (la evidenza empirica lo conferma) le buone intenzioni e la immancabile nobiltà d’intenti.

    Pilotare il cuore della gente (governare l’Italia), lo aveva capito anche “Benito il Duce” (rimacinando Giolitti) quando diceva che non è impossibile (in qualche modo). E’ inutile.
    E quello era un socialista tutto d’un pezzo.

    E’ sicuramente più produttivo concentrarsi sulle azioni che si occupino di sviluppare mezzi piuttosto che direzionare fini.

    Rende di più operare per offrire mezzi di promozione individuale ed associativa ove i fini sono o personali o contrattualmente, liberamente e volontariamente assunti.

    Se filosofi o politici volessero svestire i panni dell’uomo del destino o del faro sull’incertezza dei propri simili e cambiando pelle assumessero l’onere di fare (non essere) libertari, nessuno si scandalizzerebbe.
    Essi avrebbero così accesso alla conoscenza teorica necessaria per unire nei mezzi le persone che rispettano la libertà degli altri per principio. La libertà sarebbe una risultante così naturale che per lo sprovveduto sembrerebbe quasi come l’esito di un accordo pianificato, mentre sappiamo che l’unico sforzo che porta alla somma delle volontà e dei mezzi di successo e quello spontaneo.

    Non il comando, non il dono (che sono atti unilaterali) men che meno la violenza bensì lo scambio che implichi accettazione volontaria può può essere il collante del risultato.

    Senza la nascita di istituzioni come imprese, banche, scuole, ospedali, organi di composizione delle controversie e altri servizi con imprinting libero è impensabile che possano nascere istituzioni politiche, anche minimaliste, che abbiano come limite d’azione quello di proteggere i fini che ogni individuo e tutte le libere associazioni di individui devono poter essere liberi di perseguire.

    Dai! Forza che per un sacco di gente che pensa di essere votata alla politica perché sa ripetere delle giaculatorie o filastrocche o è esperto di luoghi-comuni è pronto un bel dopo-scuola e per i più bisognosi di un post-università libertario. Chi più ha bevuto alla fonte del nulla dovrà solo fare un po’ più di sforzo, ma il risultato è alla portata di tutti.

  2. L’Italia è un paese straniero ed occupante, quindi cosa accade in Italia non ci interessa. Ma se avessimo la possibilità di votare in Austria, in Francia pur risedendo in Padania, non lo faremmo? Non cercheremo con il nostro voto di favorire chi come noi cerca l’indipendenza o vedere un governo che combatta l’invasione dei clandestini o ci aiuti nella nostra strada verso la libertà?
    E’ un discorso di strategia. La Costituzione italiana, quella dell’Italia una ed indivisibile, quella dell’Italia che comprende i territori della Padania, che Italia non è, quella dell’italiano come lingua nazionale a noi fa schifo, ma ci avrebbe ancora fatto più schifo quella che ci voleva propinare Renzi. Ma votando no si va a nuove elezioni, senza attendere il 2018.
    Ora cosa ci può attendere da nuove elezioni?
    Un tempo avremmo votato Lega, quella di Roma ladrona, quella dell’indipendenza della Padania, ora votare Lega mi fa venire dei dubbi, perché da “prima il nord” vedo nuovamente accostamenti con Berlusconi, uno dei peggiori nemici dell’indipendenza della Padania, quello che ha stoppato la Lega del 1992.
    Cosa ci rimane? Vi stupirò, ma il M5S e vi spiego il perché.
    Innanzitutto perché ha i numeri per andare al potere, secondo perché ha nel DNA la democrazia dal basso.
    Volete che rimanga sordo alle istanze di abbassare subito la pressione fiscale? O se il Veneto chiedesse un referendum per l’indipendenza, benché proibito dalla Costituzione, bloccherebbero un referendum “consultativo”, quindi privo di valore come quello della Brexit ma che avrebbe effetti. O se si volesse uscire dall’Euro o dall’Unione europea, secondo me raccogliendo firme si potrebbero avere tutte le consultazioni che ci interessano.
    Ecco perché si deve votare e votare bene, anche turandoci il naso ma votiamo.

  3. Anche io sono pessimista, il che mi rincuora.
    L’italia è impantanata senza scampo, è ferma in folle a motore acceso con carburante in esaurimento e frizione rotta.
    Quanto all’indipendentismo io penso che chi avesse davvero a cuore la libertà e l’indipendenza si dovrebbe accordare su una sola cosa da fare, sia in veneto che in lombardia : una protesta fiscale totale.
    Questo è il punto comune.
    Tutto il resto è una perdita di tempo.

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