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Tenete d’occhio dollaro e yuan, fresco di svalutazione

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YUAN 7 1 BREAKdi GERARDO COCO

Il 6 gennaio la Banca popolare cinese (PBoC) ha svalutato lo yuan dello 0.51% nei confronti del dollaro, portandolo a quota 6.5656 e la borsa cinese ha subito un ribasso del 7%. La notizia ha scatenato il panico in tutti i mercati arrivando a “bruciare” $2.5 trilioni tra titoli americani, europei e giapponesi. Allo stesso tempo, petrolio e altre materie prime hanno subito ulteriori ribassi nei prezzi. E’ il secondo episodio di minisvalutazione dello yuan dopo quello dello scorso agosto 2015 e come allora, anche in questo caso, ha destato sorpresa. Ma non doveva essere affatto una sorpresa per tre motivi. Il primo perché lo yuan è ancora sopravalutato sia rispetto al dollaro, sia rispetto alle valute asiatiche. Il secondo perché, dopo la sua recentissima inclusione nei diritti speciali di prelievo, il paniere che rappresenta l’unità di conto internazionale di riferimento del Fondo Monetario Internazionale, composto da dollaro, euro, yen giapponese e sterlina britannica, era implicito un suo riallineamento allo scopo di renderlo convertibile con le altre valute del paniere a valori di mercato. Il terzo e il più importante motivo è che a l’aumento del tasso di interesse di riferimento della Federal Reserve avvenuto verso la fine di dicembre e l’annuncio di voler effettuare ulteriori tre rialzi entro il 2016, hanno esercitato una pressione sullo yuan che, insieme a altre principali valute, si è svalutato in anticipo su tali possibili rialzi futuri. Ne è seguito un deflusso di capitali di cui la PBOC ha dovuto prendere atto. Ed è stato soprattutto questo deflusso il catalizzatore della svalutazione che non poteva essere evitata anche a causa della preoccupante contrazione dell’economia cinese.

Fin dall’inizio della crisi iniziata nel 2008 ci sì è cullati nell’idea che la crescita del 6/7% all’anno dell’economia cinese non finisse mai e potesse trainare quella globale rimettendola sulla strada  della ripresa. Ma la Cina non è su un altro pianeta, dipende anch’essa dalle altre economie e prima o poi doveva esser coinvolta nella recessione globale. Per anni la Cina ha agganciato la sua valuta al dollaro e pertanto ha dovuto subire la politica monetaria statunitense. Quando gli Usa inflazionavano, anche la Cina, per mantenere la parità col dollaro, doveva fare altrettanto. Si è così creato fra i due paesi un rapporto simbiotico: la banca centrale cinese era contenta di cedere yuan in cambio di dollari con i quali acquistava materie prime e riforniva di prodotti gli Stati Uniti i quali erano altrettanto contenti di avere un creditore forte e affidabile che trasformava i dollari ricevuti in Treasury bonds e finanziava così il loro deficit perenne. L’enorme influsso di capitali in Cina, soprattutto in dollari, espandeva le sue riserve valutarie ma, nel contempo, creava immense bolle, soprattutto nel mercato immobiliare. Quando, alla fine, ci è accorti che lo sviluppo del 6/7% era soprattutto inflazionistico e la Cina cominciava ad avere un eccesso di capacità produttiva, il processo si è invertito ed è cominciato il deflusso dei capitali. Quando c’è fuoriuscita di capitali da un paese, gli investimenti si riducono, la moneta si svaluta, il potere d’acquisto cala e il valore del debito aumenta. Così, parallelamente all’abnorme apprezzamento del dollaro è cominciata anche la crisi cinese.

DOLLARISbagliano gli osservatori a pensare che la Cina abbia svalutato per aiutare le sue esportazioni. Svalutare in un’economia in contrazione solleverebbe gravi proteste all’interno perché l’erosione del potere d’acquisto ricadrebbe di colpo sui cinesi. Ma, ancora più importante, aumenterebbe il deflusso di capitali intaccando le riserve, ciò che la Cina vuole assolutamente evitare. Infatti, per impedire ulteriori fuoriuscite di capitali e una crisi valutaria, ha già dovuto difendere il tasso di cambio vendendo dollari (nella forma di treasury bond a 5 anni, il cui rendimento è, infatti, subito salito) ma ha impoverito le sue riserve che da $4 trilioni che erano, nella prima metà del 2014, sono calate a circa $3.2 trilioni. E’ una contrazione molto pericolosa se si considera che la Cina ha un indebitamento in dollari di $1.2 trilioni, un ammontare sempre più vicino a quella soglia di $2.6 trilioni di posizione finanziaria netta che il Fondo monetario internazionale ritiene il minimo prudenziale per difendere lo yuan da un eventuale crisi valutaria.

La  PBoC ha affermato di voler mantenere il tasso di cambio fondamentalmente stabile al fine di promuovere l’internazionalizzazione dello yuan. E sicuramente bisogna darle credito. Ma come potrà  farlo se il dollaro continua il suo trend al rialzo? Ci sarà dunque nel 2016 un terzo episodio di svalutazione? Se avvenisse scatenerebbe un effetto domino su tutte le economie forzandole a svalutare le proprie valute per mantenere la competitività con la Cina. Ma questo è nulla in confronto alle conseguenze di un ulteriore apprezzamento del dollaro e agli effetti devastanti sul debito denominato in tale valuta, sia per la Cina che per gli altri paesi emergenti. L’economia mondiale subirebbe una grave battuta d’arresto. Occhio dunque anche allo yuan e al dollaro.

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1 COMMENT

  1. Domanda,
    E se la Cina, non utilizza più il dollaro ma chiede i pagamenti in Yuan, che succede,
    come sta facendo la Russia con il petrolio, il cui pagamento è in Rubli?
    Capisco che la Cina, ha risorse in Dollari e vedersele distruggere non sia tanto d’accordo, ma questo non toglie che hanno i mezzi e la capacità, di deviare dal baratro.
    A differenza di noi….

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