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Covid, un’informazione sussidiata degna della russia sovietica

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di PIETRO AGRIESTI

Anni fa ci fu un referendum per privatizzare la Rai. Periodicamente il discorso si è ripresentato, ma risolvendosi sempre in un nulla di fatto. Per anni si è parlato del conflitto di interessi, ma non è mai stato risolto. E infine lo stesso vale ancora una volta per i contributi ai giornali (e il discorso andrebbe esteso ai contributi a tutta l’editoria, come minimo), della cui eliminazione si è molto parlato, senza mai realizzarla.

Credo che lo spettacolo a cui abbiamo assistito durante il Covid e a cui ancora assistiamo, possa essere la conferma definitiva, che quelle battaglie erano e sono giuste.

Chi le avversa ci propone un racconto irreale secondo cui la televisione pubblica fa servizio pubblico, garantisce pluralismo e serve a dare spazio nel dibattito – che in questo racconto assolve una funzione democratica fondamentale – alle idee che altrimenti non lo troverebbero.

Durante questa pandemia abbiamo visto un appiattimento di tutti i media main stream su un’unica narrativa filogovernativa e terroristica. I numeri sono stati usati in modo forzato e ingannevole. Si è passati a dare ora il numero dei morti per milione di abitanti, ora quello dei morti in cifra assoluta, ora quello dei positivi, ora quelli delle proiezioni, etc…; ci si è valsi di proiezioni false e ingannevoli, in modo spregiudicato, solo per fare allarmismo; non si è mai tornati su quanto detto prima per notare quando si era dimostrato falso; si sono inventate ricadute inesistenti in Germania e chiusure inesistenti in molti altri paesi; si sono date informazioni false e assolutamente distorte sui paesi che avevano preso misure più blande, come gli Stati del nord; e via così con una disinformazione degna della Russia sovietica. o più precisamente degna di un periodo di guerra, come evidentemente è stata interpretata la lotta al Covid.

Di tutta la pluralità di dubbi, critiche, osservazioni, contro informazioni, avanzata nel resto del mondo non è arrivato niente se non un’eco deformata, con l’accusa di negazionismo indegnamente sparsa a piene mani su chiunque avanzasse dubbi sui provvedimenti presi, pur senza negare il virus.

Zero dibattito di merito sui ricorsi (come quelli di Alessandro Fusillo Fusillo e Fabio Massimo Nicosia ) presentati da vari soggetti ai provvedimenti governativi, zero dibattito sulle contro-inchieste che hanno iniziato ad uscire, zero dibattito su qualsiasi cosa, detto francamente.

Sul Miglioverde, che è privato e non prende contributi, abbiamo pubblicato una valanga di articoli, molti tradotti dall’estero, che avanzavano appunto le opinioni, le osservazioni, le prospettive differenti e le critiche che altrove maturavano, ma che in Italia altrimenti non sarebbero mai arrivate. Lo stesso vale per Lib+, grazie al grande lavoro di Aurelio Mustacciuoli. Il Movimento Libertario poi ha pubblicato, con un editore privato, un libro inchiesta di gruppo, “Coronavirus stato di paura”. Claudio Messora aka Byo blu ha intervistato Leonardo Facco in proposito. Su Facebook gruppi e pagine come Reopen ITALY -break the lockdown, restart living- hanno fatto il controcanto all’informazione di regime. E sicuramente si possono fare diversi altri esempi.

Quindi sono stati i privati, i blog, i giornali, gli editori, i movimenti, i gruppi fb, gli youtuber privati, a garantire il pluralismo, proporre un dibattito, e ospitare le idee che altrimenti, fosse dipeso dal “servizio pubblico” e dai media finanziati dalla politica, non lo avrebbero avuto. E precisamente non sono stati i falsi privati, solo formalmente tali, che vivono di soldi pubblici e di rapporti con la politica, ma quei pochi realmente privati che con i finanziamenti pubblici e la politica c’entrano poco niente.

E non mi riferisco alle idee di quelli secondo cui il virus non esiste, o è portato dal 5g, o è un complotto rettiliano: queste fesserie hanno trovato posto, perché venivano buone per screditare qualsiasi critica. Sono le critiche serie, argomentate, da parte di scienziati, medici, epidemiologi, esperti di modelli statistici, economisti, etc… che sono state ignorate e silenziate.

Se avessimo privatizzato la Rai, risolto il conflitto di interessi (o meglio i tanti conflitti d’interessi), cancellato il finanziamento pubblico a media e giornali, evitato le varie leggi sul libro volte ad aiutare gli editori, e in generale liberalizzato il settore dell’informazione, oggi saremmo potuti arrivare al Covid, non dico con un sistema  perfetto, fatto di sole notizie attendibili e dibattiti seri, senza slogan, forzature, falsità, demagogia, e assurdità assortite, ma almeno con un vero pluralismo. Senza una informazione di regime, filogovernativa a voce unificata.

Quando si tenne il referendum sulla Rai, o quando si affrontarono queste questioni prima del Covid, si disse a chi insisteva a dire che bisognava separare politica e informazione avanzando l’idea che il controllo della politica sull’informazione fosse pericoloso e potenzialmente potesse farne un mero strumento di propaganda, disinformazione e controllo da parte del regime partitocratico, che paventava pericoli inesistenti, che proponeva teorie senza fondamento pratico, che era paranoico, etc..

La realtà di oggi smentisce in modo inoppugnabile quel catechismo democratico della Rai, dei finanziamenti alla stampa, degli aiuti all’editoria, dei salvataggi di Stato, etc.. come garanzie del libero dibattito democratico, del pluralismo, della rappresentanza delle idee minoritarie, eccetera eccetera.. questa rappresentazione irenica esiste solo nella testa di chi recita questi rosari di luoghi comuni statalisti, imparati sui baci perugina, e proposti a dispetto di qualsiasi cosa accada nel mondo reale.

Sono esattamente al contrario quel poco di privato e di libero mercato che ancora esistono, ai margini dello statalismo asfissiante italiano, a garantire ancora – chissà per quanto – qualche voce fuori dal coro.

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