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Inchiesta: il silenzio sul genocidio degli uiguri in cina

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di GABRIELE BARELLO

C’è un’etnia che in questo momento sta subendo le peggiori atrocità immaginabili, e non stiamo parlando degli Armeni o di qualche altra popolazione conosciuta, ma di qualcuno di cui nessuno ha interesse, perché contrasta con gli interessi geopolitici in gioco nell’attuale scacchiere internazionale: si tratta degli Uiguri.

Gli Uiguri sono di origine turco/balcanica, praticano la religione islamica e vivono nel nord-ovest della Cina, soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang, insieme ai cinesi Han. Gli Uiguri costituiscono la maggioranza relativa della popolazione della regione (circa il 46%), ma esistono piccole comunità di essi anche al di fuori della Cina, in Afghanistan, Paesi Bassi, Belgio, Norvegia, Canada e persino Stati Uniti.

Sul totale della popolazione cinese, essi rappresentano soltanto lo 0,6%, eppure tanto basta per subire le peggiori nefandezze.

Ma analizziamo nel dettaglio, la vicenda di questa minoranza, vittima di interessi di vario genere, lotta al terrorismo internazionale, regimi sanguinari e diritti violati.

Una storia intricata

La loro presenza è già testimoniata durante il II Secolo a.C. nella regione dello Xinjiang, in netta contrapposizione all’Impero Han che proprio allora andava costituendosi. Insieme ai turchi Gok (celesti), gli uiguri furono dunque uno dei maggiori e più importanti gruppi di lingua turca ad abitare l’Asia centrale. Essi formarono una federazione tribale retta dal Juan Juan dal 460 al 545 e dagli Eftaliti dal 541 al 565; per poi essere successivamente sottomessi dal khanato dei turchi Gok. La situazione non variò di molto per molti secoli.

Dal 1760, la dinastia Qing però annesse ufficialmente il territorio all’impero e iniziò ad amministrarla in un’ottica già allora centralista, senza tener troppo in considerazione la volontà dei suoi secolari abitanti, del resto ancora incapaci di mettersi sul piano di concepire una vera e propria identità nazionale. Gli attuali Uiguri, derivano dalla combinazione genetica tra gli antichi abitanti indoeuropei stanziati nelle varie città della regione, cioè i Saci ubicati nei dintorni del bacino di Tarim e i Tocai situati nella parte settentrionale dello stesso ove sono quivi migrate a seguito della distruzione del Khanaganato Uiguro (fu un impero che esistette tra VIII e IX secolo d.C. Con una superficie di 7 milioni di kmq nell’VIII secolo, fu il più vasto impero del suo tempo), avvenuta ad opera dei Kirghizi Yenisei nel IX secolo e poi dai mussulmani Karaknanidi durante l’XI secolo.  Entrambi i popoli nomadi parlavano lingue turche, che hanno esportato nella zona, soppiantando pian piano le locali lingue indoeuropee.

L’indipendentismo come mezzo di libertà

L’attività indipendentista Uigura ebbe origine nella prima metà del Novecento e si proponeva come alternativa all’egemonia dei signori della guerra dello Xinjiang. Durante la guerra civile cinese, si tentò per due volte di istituire uno stato indipendente: dapprima nel 1934, con la creazione della Prima Repubblica del Turkestan orientale, poi con la Seconda Repubblica del Turkestan orientale, istituita circa dieci anni dopo. La Seconda Repubblica venne tuttavia annessa alla Repubblica Popolare Cinese nel 1949 di nuovo in maniera illegale e con l’uso dell’esercito.

È solo dagli anni Novanta, inauguratisi con la disgregazione dell’Urss, che si è assistito al nascere di nuove sfide in Asia centrale, sia economiche sia etnico-religiose. Rilevante, a questo proposito, è l’affermarsi di nuove repubbliche indipendenti a maggioranza musulmana, di cui molte confinanti con lo Xinjiang.

Contemporaneamente si sono riavviati i fenomeni di separatismo, il cui avvio è stato segnato il 5 aprile 1990 a Baren, piccola cittadina situata nella zona sud-orientale del Xinjiang, quando all’incirca 200 militanti Uiguri armati, guidati da Zeydin Yusup leader del partito del Turkestan orientale, insorsero e si ribellarono alle forze dell’ordine cinesi e chiedendo che l’immigrazione incontrollata Han verso la regione fosse fermata.

Ben presto le proteste si estero a tutta la città, e la repressione cinese fu durissima inviando l’esercito e i carri armati a sedare la rivolta ormai fuori controllo.

La seconda fase dell’insurrezione si svolse tra il 1992 e il 1993, questa volta con numerosi attentati dinamitardi come quello avvenuto a Urumqi, il 5 febbraio 1992 dove esplosero quattro bombe dirette contro due autobus che provocarono molte vittime.

Infine la terza ed ultima fase dei disordini si ebbe tra l’inizio del 1996 e il 1997. In quel periodo molte furono le operazioni di guerriglia del tipo “mordi e fuggi”, compresi sabotaggi diretti alle caserme di polizia, tagli alla rete elettrica o idrica di edifici pubblici e assassini mirati ai danni di ufficiali governativi.

La repressione del regime comunista cinese

E’ proprio a questo punto che in risposta a tali avvenimenti, furono avviate tre importanti iniziative politiche da parte del governo centrale cinese:

  • una direttiva segreta del Politburo del PCC109 che metteva in guardia da attività religiose illegali e infiltrazioni straniere nello Xinjiang;
  • la creazione del Gruppo dei Cinque, successivamente conosciuto come Shanghai Cooperation Organization (Sco), formato da Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, finalizzato a impedire ai musulmani uiguri provenienti da paesi vicini di raggiungere la Cina;
  • le campagne denominate “Strike Hard”, concepite come vere e proprie misure repressive di polizia, avviate nell’aprile 1996, consistenti in una serie di misure per annientare l’illegalità e il terrorismo, specificamente nella regione del Xinjiang.

Naturalmente, le azioni dei separatisti non si fermarono, così come quelle repressive caratterizzandosi sempre più con processi sommari, arresti illegali e sentenze spesso arbitrarie, conclusesi persino con pene capitali.

Tutto ciò è avvenuto nel totale silenzio della comunità internazionale, specie dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 e l’entrata della Cina stessa nel WTO, l’11 dicembre dello stesso anno, che diedero avvio a nuove azioni di repressione con la scusa solita della lotta al terrorismo islamico.

Non tutti ricorderanno ma proprio in quel periodo, e precisamente il 28 di aprile del 2002, Cina, Russia e Stati Uniti si riunirono sulla lotta al terrorismo internazionale e durante un incontro avvenuto con il presidente americano Gorge W. Bush, il presidente Vladimir Putin e quello cinese Jiang Zemin, raggiunsero un tacito accordo sul modo cinese di gestire le sue azioni separatiste, semplicemente etichettandole appunto come lotta al terrorismo interno.

In questo clima e scenario, caratterizzato dalla diffusa e capillare paura per il terrorismo di natura islamica si è arrivati al 2017, quando una notizia sconcertante trova spazio nei principali network di informazione: in Cina, migliaia di uiguri , dopo il censimento, erano detenuti in campi formalmente denominati “scuole per l’educazione professionale” o “scuole di addestramento contro l’estremismo”, dove non si ha accesso non ci si può difendere tramite avvocati e in nessun altro modo e si è costretti quotidianamente a manipolazioni e deprivazioni.

In realtà indagando a fondo si è scoperto col tempo che le restrizioni straordinarie alle libertà personali per i mussulmani uiguri in Cina non si sono limitate ai campi di detenzione: accanto ad un indottrinamento pervasivo non solo per i reclusi ma per tutti gli altri, il governo impone una sorveglianza costante e martellante, che si inasprisce sempre più, grazie anche al ricorso sempre più massiccio alla tecnologia: ad esempio si prelevano a ogni individuo uiguro campioni di sangue e di Dna, per collegarli, oltre che alla carta di identità, a qualsiasi tipo di acquisto ritenuto sospetto (ad esempio armi da taglio), si utilizzano droni e telecamere a riconoscimento facciale e biometrico per tracciare gli spostamenti degli individui.

Anche la libertà di pensiero risulta intaccata, poiché la maggior parte dei musulmani, anche al di fuori dai campi, è costretta a partecipare periodicamente a cerimonie di indottrinamento in onore del Pcc, e con la scusa di far uscire le persone dal presunto stato di ignoranza e arretratezza in cui versano, vengono appositamente organizzati incontri per rieducare i membri della comunità islamica uigura affinché si allontanino da quella fede e imparino i fondamenti del socialismo, nonché a parlare cinese mandarino.

Il genocidio demografico degli uiguri

Oltre a tutto ciò, nei campi di detenzione cinesi dove sono rinchiuse le persone di etnia uigura, grazie ad un’inchiesta di Associated Press ed Amnesty International, si è scoperto che il regime comunista repressivo cinese praticava un rigido controllo delle nascite che sotto diversi aspetti ha portato a parlare di “genocidio demografico”. Le donne uigure infatti, vengono rese sterili contro la loro volontà, con l’inserimento forzato di una spirale o tramite somministrazione di pillole contraccettive, o addirittura con operazioni chirurgiche permanenti. Eventuali gravidanze vengono interrotte senza considerare la loro volontà o quella del compagno.

Come testimonia un recente studio realizzato dall’antropologo tedesco Adrian Zenz, molte donne uigure sono state sottoposte all’inserimento forzato delle spirali intrauterine (un metodo contraccettivo che si inserisce nell’utero e che richiede controlli ginecologici periodici per evitare l’insorgere di infezioni). Le spirali usate in Cina per questo tipo di operazione, ha scritto Zenz, vengono realizzate in modo da rendere quasi impossibile la rimozione senza un’operazione chirurgica, diversamente da quelle usate in altri paesi.

Zenz ha riportato inoltre, le testimonianze di diverse ex detenute sul loro periodo trascorso nei centri di detenzione. Alcune hanno raccontato come durante la prigionia fossero somministrati loro contraccettivi per via orale o tramite iniezione, senza alcuna spiegazione, e di essersi poi sentite stordite e nauseate. Diverse hanno poi scoperto in seguito di essere diventate sterili.

Nel suo stesso studio infine, Zenz sostiene che il numero di donne dello Xinjiang sterilizzate chirurgicamente sia aumentato moltissimo negli ultimi anni, mentre è diminuito nel resto della Cina: nel 2016 circa lo 0,4 per mille delle donne dello Xinjiang erano state sterilizzate, nel 2018 questo dato era salito al 2,5 per mille.

Ulteriori prove a sostegno di ciò sono i dati sulla popolazione totale uigura, che fra il 2015 e il 2018, ultimo anno in cui sono disponibili le statistiche raccolte dal governo, il tasso di natalità dello Xinjiang è cambiato radicalmente: se nel 2015 era tra i più alti dell’intero paese, tre anni dopo risultava tra i più bassi. Nell’Hotan e nel Kashgar, territori dello Xinjiang dove la popolazione uigura è particolarmente numerosa, si è passati da quasi 22 nati l’anno ogni mille abitanti a circa 8. È probabile che oggi questi numeri siano ancora più bassi. Inoltre parecchie famiglie uigure sono fuggite dalla Cina in numero crescente.

Xinjiang, un territorio ricco di risorse energetiche

A questo punto viene da chiedersi, come mai il regime di Pechino abbia deciso di accanirsi proprio su questa popolazione, considerando che gli uiguri oggi superano di poco i 10 milioni di individui dunque circa lo 0,6% della popolazione totale cinese.

Una risposta sembra legata al sottosuolo della regione dello Xinjiang. Infatti, le riserve di gas naturale (13.000 trilioni di m3), carbone (2,190 miliardi di tonnellate), ed altre risorse fossili nella regione stessa rappresentano oltre il 20% del potenziale energetico cinese. Anche le riserve petrolifere nello Xinjiang ammontano a 23,4 miliardi di tonnellate e rappresentano oltre un quinto dell’intera capacità estrattiva del gigante asiatico.

Si aggiunga a tutto ciò, che nel 2009 la più importante azienda petrolifera cinese, la PetroChina, insieme alla russa Gazprom e all’olandese Shell, firmarono un accordo per la costruzione di un gasdotto che, attraverso lo Xinjiang, raggiunge la parte orientale della Cina e aiuta a rafforzare la posizione geopolitica di quest’ultima, permettendole di fornire gas alla maggior parte dei paesi dell’Asia centrale. Dunque è lecito pensare che ci siano dietro anche enormi interessi di natura economico/energetica.

Le dichiarazioni del regime comunista cinese

Il governo cinese ha ovviamente sempre negato di reprimere o trattare diversamente la minoranza uigura, definendo spesso inchieste e testimonianze come “fake news”.

Domenica 19 luglio 2020, un giornalista della BBC, ha mostrato all’ambasciatore del Regno Unito Liu Xiaoming, un video che circolava su Internet e che mostrava diverse e numerose persone bendate e disposte in fila mentre venivano fatte salire su un treno, in un luogo, un campo rieducativi riconosciuto da diversi osservatori essere collocato nella regione dello Xinjiang e precisamente a Zoudong. Liu non ha risposto a nessuna delle domande del giornalista, sostenendo che negli ultimi anni la popolazione dello Xinjiang era aumentata, senza specificare nulla ne quanti dei nuovi abitanti fossero cinesi han e quanti no.

Negli ultimi anni diverse organizzazioni internazionali e governi hanno accusato apertamente la Cina di violare sistematicamente i diritti umani degli Uiguri, tra questi ci sono gli stessi paesi che fino a pochi anni prima avevano chiuso gli occhi per interesse comune alla faccenda, senza però ottenere granché.

Di recente gli Stati Uniti con Donald Trump hanno approvato alcune sanzioni dure contro società cinesi accusate di essere coinvolte nella persecuzione e repressione degli uiguri.

La Cina è lo stesso paese che ha di recente condannato una blogger e giornalista di nome Zhang Zhan a 4 anni di reclusione, oscurando i suoi canali Youtube e Twitter ripetutamente, per aver raccontato a detta del regime di Pechino “notizie false e tendenziose circa l’origine del virus Covid19 a Wuhan”. Lo stesso paese che sta schiacciando Hong Kong.

E’ lo stesso paese spalleggiato, e preso a “modello”, da numerosi governanti occidentali come fulgido esempio di lotta al Coronavirus, copiandone anche i metodi repressivi e liberticidi (quali l’uso di droni, forze di polizia e multe, arresti e repressioni nel totale disprezzo e calpestio della Costituzione oltre che delle più banali libertà individuali).

E’ lo stesso paese che con il grave errore commesso dall’occidente di averlo fatto entrare nel WTO nel 2001, ha permesso a questo di crescere esponenzialmente, grazie al libero commercio, minando gravemente la stessa cultura e libertà occidentale.

Lo stesso paese che ci mandato un virus, poi utilizzato ed ingigantito da innumerevoli governi occidentali per attuare il Grande Reset del Socialismo 4.0 ben indicato sul World Economic Forum di Davos. Sarebbe meglio riflettere su quale futuro vogliamo, prima che sia troppo tardi.

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2 COMMENTS

  1. Bellissimo articolo Gabriele sul paese che, a detta dell’usurpatore del soglio di S.Pietro, è un una grande nazione da amare e onorare.

  2. Concordo sull’errore capitali di aver fatto entrare la Cina nel WTO.
    E di questo errore occorre ringraziare proprio gli americani.
    Americani che avevano necessità di piazzare i loro titoli di stato.
    Ora Trump impone il de-listing dal NYSE di alcune aziende cinesi quotate.
    Ma è come chiudere le staccionate quando i buoi sono già scappati.
    Gli Usa hanno innescato una serie di problemi planetari che ci complicheranno pesantemente l’esistenza, in futuro.

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