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Johnson e cina, braccio di ferro su hong kong

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di REDAZIONE

Un passo per volta verso il muro contro muro. Il governo britannico di Boris Johnson alza ancora il tono della reazione contro la Cina sullo sfondo del giro di vite di Pechino a Hong Kong, del pressing dell’alleato americano e di un clima di recriminazioni anti-cinesi montanti attraverso l’intero spettro del Parlamento di Westminster: alimentato anche dal rilancio di denunce horror di vari media occidentali sulla storica repressione sui musulmani Uiguri dello Xinjiang.

L’ultima doppia mossa di Londra si condensa nella sospensione “immediata e a tempo indeterminato” dell’accordo con Hong Kong in materia di estradizioni sottoscritto all’epoca della restituzione dell’ex colonia nel 1997; nonché nell’embargo sull’esportazione di armi ed equipaggiamento antisommossa utilizzabili dalla polizia della città-Stato (ormai agli ordini diretti del Dragone) contro le proteste degli oppositori. A formalizzarne i dettagli alla Camera dei Comuni è stato il ministro degli Esteri, Dominic Raab, il quale, pur evitando atteggiamenti da rottura totale, ha dato un’ulteriore spallata a quella relazione privilegiata di dialogo e soprattutto d’affari col gigante asiatico avviata sotto Tony Blair ed esaltata appena 5 anni fa da David Cameron come l’anticamera d’una nuova “età dell’oro”. Non senza ignorare l’ira che rimbalza da Pechino; e sottolineare al contrario la crescente attenzione a coordinarsi con le posizioni muscolari dell’amministrazione di Donald Trump nelle ore dello sbarco in riva al Tamigi del segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, per una due giorni di colloqui. Raab ha definito i due provvedimenti come una risposta “ragionevole e proporzionata” alla draconiana legge sulla sicurezza calata per volere cinese su Hong Kong in barba alle condanne occidentali. Nonché per le rinnovate presunte rivelazioni su “lager” e pratiche di sterilizzazione forzata contro la minoranza degli Uiguri.

L’annuncio rappresenta del resto solo l’ultimo anello di una catena d’iniziative considerate sempre più ostili a Pechino, dove il portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin, ha dapprima rinfacciato all’ex potenza coloniale di voler “interferire brutalmente nella politica interna” cinese su Hong Kong ventilando “azioni risolute” come ritorsione; e poi ha liquidato come “calunnie” i richiami a un’escalation delle repressioni nello Xinjiang: iniziative inaugurate dall’offerta di un percorso privilegiato verso la cittadinanza del Regno a una platea potenziale di 3 milioni di abitanti hongkonghesi; e culminata nella revoca, sulla scia di Washington, del via libera parziale concesso nei mesi scorsi al colosso Huawei sulla partecipazione allo sviluppo delle reti di telecomunicazione 5G d’Oltremanica. Vere e proprie sfide che Johnson cerca di tenere in precario equilibrio con la necessità di non compromettere in toto un interscambio economico lucroso, fondamentale all’ombra della Brexit e dell’emergenza coronavirus. (Fonte: Ansa.it)

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