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La sovranità monetaria e le solite soluzioni strampalate

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di MATTEO CORSINI

Se c’è una categoria che in Italia prolifera in ogni stagione, è quella dei fornitori di soluzioni miracolose e indolori ai problemi della claudicante economia nazionale. Solitamente l’ingrediente principale consiste in una delle tante varianti dell’utilizzo della stampante monetaria, magari opportunamente camuffata sotto altro nome.

Tra gli appartenenti a questa categoria vi sono indubbiamente Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, che tra monete parallele, monete fiscali e altre varianti sul tema vanno ripetendo da anni che se si stampasse più denaro usciremmo alla grande dalla melma in cui siamo sprofondati adottando l’euro. Per quanto l’euro, come tutte le monete fiat, non sia l’ideale, è pur sempre meno peggio di quello che vorrebbero i nostalgici dell’era pre-divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, quando la banca centrale monetizzava generosamente il deficit pubblico e periodicamente la liretta andava incontro a svalutazioni nell’illusione di recuperare così la competitività perduta, continuando a ingrassare i consumatori di tasse di un sistema di welfare sempre meno sostenibile.

Il fatto che questi signori non si arrendano mai all’evidenza che viene da Paesi a (supposta) piena sovranità monetaria (per fare qualche esempio: Turchia, Argentina e Venezuela) non è di per sé il problema. Il quale, a mio parere, è invece che una moltitudine di persone più o meno totalmente analfabete in materia monetaria (e non solo) danno credito alle sciocchezze che questi signori vanno sostenendo.

Secondo Becchi e Zibordi, il “problema fondamentale dell’economia italiana (non l’unico, ma il più importante) è che mancano circa 300 miliardi di euro in circolazione perché possa funzionare normalmente, come le economie degli altri paesi industriali avanzati. Perché diciamo circa 300 miliardi? Perché le banche hanno tagliato il credito alle imprese da 930 miliardi nel 2008 a circa 640 miliardi”.

Chissà per quale motivo ci siano economie che funzionavano e continuano a funzionare meglio di quella italiana nonostante espansioni creditizie storicamente più contenute. Mentre Paesi che stampano come se non ci fosse un domani sono di fatto in stato fallimentare. Mistero. Gli italiani, però, continuano ad avere molta ricchezza finanziaria, osservano i nostri. E per di più l’Italia ha un avanzo di parte corrente della bilancia dei pagamenti. Quindi: “Se fossimo un paese con la propria Banca Centrale potremmo farle stampare i soldi che mancano come fanno in Cina, Giappone e Usa e farle finanziare i deficit. La Bce in realtà lo fa anche lei, ma pone come condizione di non aumentare i deficit e il governo italiano deve obbedire”.

A onor del vero le regole di bilancio, peraltro sempre aggirate, non le stabilisce la Bce, ma lasciamo correre questa inesattezza. Ancora: “La soluzione qual è allora restando nell’euro, visto che ormai neppure la Lega vuole uscire? Cambiare le regole europee? Consentiteci un modesto scetticismo al riguardo. A noi è venuta in mente un’altra idea e ci illudiamo che si possa aprire un dibattito su questo. Gli italiani hanno in banca, oltre 4mila miliardi di cui 1.400 in conti correnti e il resto in fondi, polizze, titoli, gestioni e prodotti vari che offrono le banche. Occorre che lo Stato offra un nuovo tipo di debito pubblico, che possa essere usato come moneta, cioè per effettuare ogni tipo di pagamenti esattamente come il conto corrente. La tecnologia attuale e il funzionamento dei mercati moderni consente di farlo. È possibile predisporre un circuito per cui si depositano i soldi presso il Tesoro e non in banca, il Tesoro paga questo denaro come un Btp a 5 anni, quindi circa un 1% e però si offre la possibilità di usare bancomat e carta di credito direttamente da questo conto remunerato dal Tesoro”.

Gira e rigira, si arriva sempre a una moneta parallela, perché un debito pubblico irredimibile, di fatto, quello è. Andiamo avanti:

“In cambio di questo servizio lo Stato cosa riceve? Questo nuovo tipo di debito pubblico non ha scadenza, è permanente, ma se uno vuole rivenderlo lo Stato lo compra alla pari, cioè non oscilla di prezzo. Perché oggi questa non sarebbe una cattiva idea? Perché oggi siamo in un momento storico in cui persino i titoli di stato greci rendono zero e quelli tedeschi o francesi meno di zero e i Bot pure meno di zero. Se lo stato ti offre invece un rendimento e in più ti consente di usare questo conto per qualunque pagamento, centinaia di miliardi si sposteranno su questo tipo di debito pubblico permanente. In pratica lo Stato trasforma il debito pubblico in moneta, denaro che si può utilizzare immediatamente, liquidità che si può immettere nell’economia, quella liquidità che manca e che continuerà a mancare perché l’ Unione europea ci impedisce di aumentare il deficit”.

Si finisce sempre al solito punto: il deficit come elemento di salvezza, che però deve essere privo di vincoli, quindi monetizzato.

Ora, a prescindere dalle controindicazioni ben note connesse a ogni forma di monetizzazione (non si tratta di creazione di ricchezza, ma di redistribuzione), Becchi e Zibordi sembrano non tenere in considerazione che se si travasasse la raccolta diretta delle banche (in regime di riserva frazionaria) a favore di questa moneta-debito statale, l’effetto restrittivo sul credito sarebbe molto probabilmente ben superiore alla “salvifica” immissione di liquidità nel sistema da parte dello Stato.

Per non dire dell’ennesimo passo verso un sistema a crescente intensità di statalismo. Sai che prospettiva.

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3 COMMENTS

  1. Ho la netta impressione che ci si arrampichi sugli specchi.
    Ma soprattutto si parte da una premessa esiziale.
    Che lo stato sia un’entità affidabile, degna di fiducia, sacrificio, obbedienza.
    Lo stato non siamo noi.
    Lo stato sono loro, un branco di politici e affiliati pronti ad ogni atto delinquenziale pur di mantenere ogni leva del potere e fotterci alla bisogna con tasse e leggi liberticide.
    Posso capire i ragionamenti di Becchi e Zibordi solo se ammettono preventivamente di aver fiducia nello stato, nei suoi uomini, nelle sue strutture e nella sua burocrazia.
    Affermano e scrivono che a loro va bene lo stato così com’è ora e che le soluzioni proposte le vedono funzionare in questo stato.
    Allora sono coerenti.
    A me lo statoladro attuale non sta affatto bene.

  2. 20 punti? 99,80 nel 2007 oggi 134 circa sempre rispetto al pil che dire sei forte in matematica. Per il ragionamento se “pompi” a deficit di sicuro aumenti il debito da li a far funzionare l’economia ce ne corre. Per assurdo anche restando nei parametri imposti al 3% di deficit, il debito tende sempre ad aumentare il che è impossibile mantenerlo nel lungo periodo. La prossima mossa “soluzione”? lo ripiani con un bel furto di stato a tutti gli italopitechi ironic mode on”colpa degli evasori dei ricchi speculatori” ironic mode off mia soluzione invece è tagliare le mani allo stato ladro……

  3. OK… La Spagna ha aumentato il deficit pubblico dal 38% al 99% del PIL tra il 2007 ed oggi e prima del 2007 aveva aumentato in modo esplosivo il debito privato che era il DOPPIO di quello italiano (ora è calato, ma è sempre più alto di molto del nostro

    La Francia ha aumentato il deficit pubblico dal 58% al 97% del PIL dal 2007 e in aggiunta ha aumentato il debito privato (aziende, famiglie…) di oltre 30 punti di PIL

    Durante questo periodo l’Italia ha aumentato il debito pubblico di circa 20 punti di PIL solamente e ha ridotto del 25% il debito privato delle imprese da 940 a 650 mld, mentre quello delle famiglie è aumentato solo di poco

    Se guardi quindi i dati del debito privato e pubblico Francia e Spagna hanno pompato centinaia di miliardi nell’economia più dell’Italia, sia tramite i deficit pubblici che in quei paesi erano arrivati al 7% del PIL e hanno sempre sforato il 3% e soprattutto hanno pompato centinaia di miliardi di debito delle famiglie e imprese

    Tanto per dire il sistema bancario francese ha 8mila mld a bilancio e quello italiano meno di 4mila mld.. L’autore del pezzo non ha la più pallida idea di queste cose e farebbe bene a dedicarsi a qualcosa di cui ha qualche nozione

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