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Mi son veneto, il bilinguismo fa bene anche alla salute

Da leggere

di ETTORE BEGGIATO

“Mi son bilingue” è il primo libro di Emil Andreose, giovane veneto nato a Rovigo e residente a Monselice (Padova); laureato in  Psicologia dell’infanzia e dell’educazione all’Università di Padova, si è specializzato in Infanzia all’Università di Trieste ricevendo dalla Commissione di Laurea “L’Eccellenza nell’Originalità” per la tesi sperimentale che è alla base di questo volume.

Quante volte ci siamo sentiti dire alla scuola dell’obbligo e alla televisione che bisogna parlare “bene” e non in dialetto poiché è “brutto da sentire”, oppure che bisogna insegnare solo l’italiano  ai bambini perché altrimenti saranno svantaggiati e faranno più fatica? Oppure quante volte avete sentito accostare il termine “grezzo”, “provinciale” a chi parla in dialetto, oppure avete visto  uno sguardo di compatimento verso  chi non  si esprime nella lingua ufficiale dello stato?

In questo libro si va invece alla scoperta del misterioso mondo del bilinguismo e degli straordinari vantaggi (si avete letto bene, vantaggi) che esso offre allo sviluppo della personalità e quindi al ventaglio delle opportunità a disposizioni delle persone bilingui.

Intanto, si può parlare di bilinguismo se il veneto, nel nostro caso, è definito dallo stato italiano e dai mondi della politica e della cultura dominanti “dialetto”? Le lingue, cercano disperatamente di convincerci, sono quelle ufficiali che si insegnano a scuola, dal francese all’inglese, dal tedesco al russo … e chi parla veneto, piemontese, siciliano può essere considerato bilingue?

Che differenza c’è fra lingua e dialetto, si chiede innanzitutto Emil? E chiede aiuto al più grande linguista del mondo, Noam Chomsky, che pure ha contribuito con alcuni suggerimenti alla tesi sperimentale “madre” di questo volume, dimostrando una semplicità pari alla sua straordinaria competenza … cosa che dovrebbe essere fatta propria dal prototipo di  professorucolo inavvicinabile che gira per tante  università italiane.

Noam Chomsky ricorda che “la lingua altro non è che un dialetto con un esercito e una flotta”; e molto interessante, in questo senso, il viaggio che l’autore fa nell’Europa dei popoli senza stato, milioni e milioni di europei che lottano quotidianamente per il riconoscimento di diritti fondamentali, dal diritto al riconoscimento della propria lingua l diritto all’autodeterminazione. Questo libro è quindi prezioso per diverse tipologie di persone, da quelli ai quali i genitori hanno scelto di insegnare solamente la lingua italiana, ma che voglio scoprire questo mondo sommerso del bilinguismo negato, magari reintroducendolo nella loro vita, a quelli che crescendo i loro figli devono decidere con quale lingua rivolgersi a loro, scelta che fino a soli vent’anni fa non ci si poneva proprio. Per non parlare dei meno giovani… (e qui la cosa mi tocca da vicino …)

Uno studio effettuato a Toronto su un campione di quattrocento persone ultrasettantenni ha dimostrato che i bilingui hanno sviluppato il morbo di Alzheimer quattro o cinque anni dopo i monolingui, anche se i primi avevano un tasso di scolarizzazione più basso dei secondi. Il bilinguismo, quindi, protegge dall’Alzheimer molto di più dell’esercizio scolastico e mentale, perché è un allenamento costante che mantiene giovane il cervello …

Il volume edito da “Fabbrica dei Segni” ha 121 pagine e costa 12 euro.

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