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Sognatori keynesiani ormai fuori dal tempo

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di MATTEO CORSINI

Come è noto, l’Italia da ormai oltre due decenni ha quasi ininterrottamente registrato un avanzo primario, ossia un saldo positivo tra le entrate annue e le uscite al netto degli interessi sul debito pubblico. Ciò induce molti a ritenere che la condotta della finanza pubblica sia stata virtuosa e che sia solo per colpa dell’egoismo teutonico se l’Italia continua a essere, con l’eccezione della Grecia, la pecora nera dell’Unione europea e dell’eurozona in fatto di finanza pubblica.

Costoro dovrebbero però rendersi conto del fatto che se, nonostante l’avanzo primario costante, l’Italia ha sempre registrato deficit per via di una spesa per interessi più elevata che altrove, ha ben poco senso prendersela con altri. Al più si dovrebbe essere critici con coloro che hanno legiferato e governato negli anni in cui il debito pubblico si è accumulato, mentre non di rado si indicano alcune di quelle persone come eroi nazionali.

Né si dovrebbe dimenticare che negli anni recenti del quantitative easing la minore spesa per interessi è stata destinata non a contenimento del debito, bensì ad altra spesa corrente. Tra i signori di cui sopra vi è certamente Guido Salerno Aletta, che a proposito del debito pubblico ha di recente scritto:

  • Visto che ormai il 75% del debito pubblico è in mano agli italiani, ci sono le condizioni per riprendere il dibattito sul debito e soprattutto sulla rendita finanziaria che ne deriva: altro non è che una forma di redistribuzione prevalentemente interna delle risorse fiscali. Si tassano la produzione, il lavoro e i consumi a favore dell’accumulazione. La bassa inflazione in Italia, ormai pari alla metà di quella di Francia e Germania, rende ancora più pesante l’onere e ricca la rendita. Sono temi perennemente inattuali: per non vederli, basta chiudere gli occhi. E buona notte ai sognatori”.

L’utilizzo di categorie otto-novecentesche mi sembra piuttosto fuori luogo, dato che ne esce una rappresentazione della situazione diversa dalla realtà attuale. Non dubito che produzione, lavoro e consumi siano tassati, ma non mi pare il caso di parlare di accumulazione come se l’Italia fosse popolata da rentier. Quelli sono una netta minoranza, e non credo neppure che abbiano grandi investimenti in titoli di Stato italiani.

Quindi ricorrere alla “eutanasia del rentier”, tanto cara ai keynesiani fin dai tempi in cui la auspicava il “maestro”, finirebbe per “tosare” sempre la stessa gente.

Il debito pubblico è sì per oltre il 70% detenuto da soggetti italiani, ma lo è per lo più tramite fondi comuni, polizze vita e fondi pensione, che non contengono solo i risparmi dei ricconi, ma anche quelli di persone che hanno risparmiato poche migliaia di euro. La restante parte fa capo alle banche e alla Banca d’Italia.

Gli interessi percepiti dalla Banca d’Italia ritornano quasi interamente al Tesoro, azzerando di fatto l’onere effettivo di quella fetta di debito pubblico. Quanto alla parte detenuta dalle banche, è bene ricordare che in esse sono depositati anche la gran parte delle somme degli italiani non diversamente utilizzate.

L’idea, quindi, che colpendo i detentori di titoli di Stato (non chiamandolo default, ma in sostanza riproducendone gli effetti, seppur diluiti nel tempo, mediante la mannaia fiscale) si opererebbe una redistribuzione dai pochi ai molti, non rispecchia il reale stato delle cose. Qui i sognatori sono quelli rimasti a cento anni fa.

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