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La svolta autoritaria di renzi, vecchio copione italiano

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di ROMANO BRACALINI

renzi autoritarioIn Italia la tentazione autoritaria è ricorrente, mascherata o palese, come solitamente avviene nei paesi in cui la democrazia è solo di facciata, una finzione. Il modo stesso in cui Renzi, da querulo sindaco di Firenze, città di bottegai e tavole calde, è giunto al potere su designazione di Napolitano,non appartiene al costume delle moderne democrazie; ma l’Italia, lo abbiamo detto, fa volentieri a meno dei principi costituzionali e morali, quando essi contrastano con la continuità governativa che più fa comodo al sistema partitocratico.

In questo caso l’articolo 1 della costituzione può fare a meno di recitare che la sovranità appartiene al popolo, quando è più conveniente lasciare che il popolo non si esprima attraverso le urne. Le ultime elezioni del 25 maggio erano precedute dal verbo statalista diffuso attraverso la TV che “il voto è un diritto e un dovere civico”, ma la raccomandazione non era valsa per Monti, Letta, Renzi eletti senza voto, finchè Renzi ha fatto il pieno con il 40% che è una anomalia in una democrazia e ricorda piuttosto i plebisciti di paura o di devozione della Corea del Nord, della Bielorussia o della Russia.

Renzi non ha perduto il suo sorriso ebete, saluta a distanza i clienti della corte, i devoti in cerca di protezione e favori, ma alla prese con un ingranaggio statale che solo Sisifo rimuoverebbe non fa che ripetere a vuoto la sua volontà di fare le riforme. Forte di quel 40%,che non potrà essere eterno, nelle sue affermazioni si nota già una intonazione di arroganza, un velo di minaccia e di ricatto, come ha detto ultimamente: “se non volete le riforme si torna al voto”, quando sarebbe più naturale che dichiarasse la sua incapacità a cambiare il Paese e diventare lo statista che forse sogna d’essere. La sua ministra Boschi, che di notevole ha solo l’aspetto, ma non ricordo un gesto che la raccomandi alla storia, ha detto, invece di Renzi, che parlare di svolta autoritaria è una bugia; ma quando si arriva a parlarne la svolta è reale ed è già in atto.

La politica ondivaga, plebiscitaria e nazionalista di Renzi, che assomma partiti di opposto orientamento, da Berlusconi ad Alfano, ma avendo ormai contro una parte considerevole dello stesso PD, è una politica che si ispira al “blocco nazionale” che fu un esperimento già tentato dal fascismo. Renzi non ha forse velleità fasciste, non mancandogli il temperamento ma l’audacia e il carisma del capopopolo, ma sa che in Italia la democrazia parlamentare non funziona ed è votata al completo fallimento. Su questo sono d’accordo in parecchi. Niccolò Machiavelli diceva che “gli italiani non avendo virtù civiche e morali sono inadatti alla democrazia”. Mussolini, come del resto Lenin, fecero un culto del Principe di Machiavelli avendo egli tracciato la figura dell’Uomo forte che piaceva a entrambi i dittatori. Non so se Renzi, benché fiorentino, conosca intimamente il pensiero di Machiavelli che raccomandava al Principe di governare con tutte arti possibili: l’inganno, la menzogna, la crudeltà, la corruzione.

Se conosco bene l’animo dei fiorentini, Renzi potrebbe avere le qualità o i difetti per incarnare il Principe moderno. Di certo sa che un paese come l’Italia non si governa senza misure autoritarie; potrebbe perfino trovare una sponda in Europa e in Germania, altro paese dove la democrazia è un fragile  paravento, mentre la vocazione autoritaria si sposa con la virtù della disciplina che più volte nella storia della Germania ha dato impulso agli uomini forti di turno: Bismarck, Guglielmo II, Hitler, tutti e tre guerrafondai. La Merkel governa in virtù di un voto popolare, ma i tedeschi sanno che al caos politico sarebbe preferibile un governo autoritario.

L’Italia di Renzi potrebbe prefigurare il medesimo scenario. Insomma ”Apres Moi le deluge”, secondo la frase attribuita a Luigi XV. E gli italiani stanchi dei partiti potrebbero essere con lui. Siamo già sulla buona strada.E’ probabile che il futuro ci eviterà la fatica di andare a votare. In fondo sua maestà re Giorgio, nel disprezzo della Costituzione, lo ha già fatto tre volte.

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