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Vietato lavorare, ma obbligatorio pagare

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di MATTEO CORSINI

Tra le tante cattive notizie che arrivano ai titolari di attività soggette a chiusura coatta in questi mesi non potevano mancare quelle fiscali. I titolari di ristoranti chiusi parzialmente o totalmente (a seconda del colore della loro regione) in queste settimane si sono ritrovati a pagare la tassa sui rifiuti (Tari), perché dopo il 31 ottobre non è possibile per i comuni disporre sconti o esenzioni. Il tutto perché il 31 ottobre è scaduto il termine per l’approvazione da parte dei comuni del bilancio di previsione.

Si noti, poi, che le scadenze fiscali in generale sono state solo lievemente posticipate, a volte di una manciata di giorni. Con situazioni paradossali, per cui si promettono ristori e al tempo stesso si chiede di pagare le tasse. Un procedimento che, nella migliore delle ipotesi, rappresenta l’ennesima complicazione in tempi in cui chi governa si riempie la bocca della parola “semplificazione”, intitolandoci anche un decreto.

Questo è solo un esempio, a cui si potrebbe aggiungere che, alla faccia del “fisco amico” di cui parlano all’Agenzia delle entrate, per chi ha la sventura di entrare in contenzioso con il fisco la strada è sempre in salita, con frequenti inversioni dell’onere della prova, che finisce per ricadere sul pagatore di tasse anche quando dovrebbe essere l’amministrazione a fornire le prove della fondatezza delle proprie pretese.

Con buona pace dello statuto dei diritti del contribuente, spesso la Cassazione dà ragione al fisco, il che complica la vita al pagatore di tasse, fornendo al tempo stesso un indebito vantaggio all’amministrazione fiscale.

Per un libertario la tassazione è sempre una violazione del principio di non aggressione e pertanto illegittima. Credo, però, che anche chi libertario non è dovrebbe aborrire un sistema del genere. Purtroppo la sensibilità su questo tema non è delle migliori e la mia sensazione è che, per l’italiano medio, l’importante è che la cosa non lo riguardi in prima persona.

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