di ROMANO BRACALINI
Confesso che non mi perdo mai la requisitoria di un P.M. italiano quando ho l’occasione di sentirlo in tribunale o alla TV. Non tanto per la ferrea logica, le metafore sconclusionate e le formule astruse esibite per raggiungere il suo scopo: ma per la lingua in cui sono esposte a detrimento del pubblico costretto ad assistere al massacro della sintassi. La P.M. Ilda Boccassini, a Milano da una vita, non solo parla con forte accento napoletano, ma ha un cattivo rapporto con l’italiano. Non è la sola. Sotto questo aspetto Di Pietro ha fatto scuola. L’ho sentito rivolgersi così a un testimone: ”Vorrei chiederle una domanda”. Ma neppure Ingroia, di scuola palermitana, è un purista alla Basilio Puoti. Ci sarà da ridere quando prenderà servizio ad Aosta, dove si parla prevalentemente francese. In effetti il salto è eccessivo per lui: dalla Sicilia, in vista dei dromedari, agli stambecchi dei picchi nevosi.
La lingua è il veicolo essenziale per comun
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