di PAOLO L. BERNARDINI
Giova, ogni tanto, in tempi bui, in tempi di crisi forse irreversibile, tornare alla letteratura. Quella con la L maiuscola, non quella divenuta mezzo di propaganda di un regime moribondo, letture e lettere morte per un sistema politico (e letterario) da tempo defunto eppure, in forma di angoscioso fantasma, di spettro terribile, sempre qui ad infestare e impestare la vita dei vivi.
Così, tra un treno e un aereo, mi sono riletto Gino Pugnetti. Da tempo dimenticato, Pugnetti è figura non corrusca, ma neppure oscura, nel panorama della letteratura italiana tra anni Sessanta e primi anni Ottanta. Nasce e muore in luoghi, per dir così, limitrofi al Veneto ove invece si ambientano i suoi pochi ma godibilissimi romanzi, in parte pubblicati postumi, il più noto forse “Americano Rosso”, che divenne anche un film con un giovane, brillante Fabrizio Bentivoglio.
Pugnetti (1920-1982) nacque infatti a Moggio Udinese, nel Friuli d’oggi che fu sotto il domini