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L’«Ecocatastrofismo» sulla pelle dei poveri

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di LUIGI CORTINOVIS C'è un filo nero, sottile ma robusto, che lega l'ambientalismo da salotto occidentale alla miseria di milioni di esseri umani nel Terzo Mondo. È un filo intessuto di ipocrisia, falsa coscienza e un cinismo malthusiano che vede nell'uomo non una risorsa, ma un cancro da estirpare. Non lo dicono i "soliti negazionisti" al soldo delle multinazionali, ma le voci che dall'ambientalismo provengono o che l'hanno studiato a fondo. Patrick Moore, co-fondatore di Greenpeace poi "pentito", è lapidario: «Per amore della superstizione verde, abbiamo condannato milioni di persone alla fame. Come? Bloccando, ad esempio, lo sviluppo delle biotecnologie che avrebbero potuto eradicare la denutrizione nelle culture basate sul riso. Hanno imposto uno stop al progresso alimentando paure», scrive Moore, trasformando la prudenza in un'arma di distruzione di massa per i più poveri. L'ambientalismo radicale, nella sua furia di salvare "Gaia", dimentica spesso i suoi figli più debo
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