di ROMANO BRACALINI
Renzi che va a Berlino col berrettuccio in mano e la parlantina senza freni di un fiaccheraio toscano, rimanda ai viaggi d’ossequio dei reali italiani che a fine Ottocento con Crispi, bombardiere nero, erano ansiosi di mostrarsi a Birsmarck come alleati affidabili e potenti. Ma il cancelliere di ferro, nella sua rigidezza prussiana, non riusciva a considerare l’Italia una potenza alla pari; e a Vienna l’Italia la si vedeva come “la caricatura di una grande potenza”. In Etiopia gli italiani erano scappati davanti agli abissini scalzi e male armati. La regina Margherita, sangue misto piemontese e sassone, spingeva Crispi alla conquista dell’Africa, dove il siciliano aveva sacrificato capitali e giovani vite, per arrivare al disastro finale di Adua nel 1896. Gli scambi di visite tra Roma e Berlino erano frequentissimi e precedettero in quel periodo le scalmane più reazionarie di Umberto. L’alleanza con la Germania rafforzava il traballante trono dei S
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