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Dall’investire in natura alla tragedia dei beni comuni

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di MATTEO CORSINI Tempi difficili per chi si occupa di contabilità. Dal fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione aziendali in termini patrimoniali ed economici, si sta passando al dover considerare l'ampio e molto politicamente condizionato concetto di sostenibilità. Capita quindi di leggere articoli che invocano la necessità di una "contabilità che sappia dare voce alla Natura". Prendo spunto da un pezzo di Ariela Caglio del Dipartimento Accounting e direttore del Double Degree Essec dell'Università Bocconi, che comincia così: "Secondo il World Economic Forum (WEF), la Natura contribuisce a generare più della metà del Pil mondiale (44 trilioni di dollari)." Si tratta sempre dello stesso consesso secondo il quale in futuro "non possederemo nulla e saremo felici". Nel frattempo, loro possiedono molto più della media (e questo non sarebbe di per sé un male) e pretendono di sapere cosa è bene e male per tutti (e questo è indigeribile), spin
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2 COMMENTS

  1. Un esempio di privatizzazione sono le acque oligominerali in Italia che sono tutte prima state gestite da aziende minori, poi acquistate da politici e quindi vendute alle multinazionali.
    A me non pare un esempio in cui il mercato ha fatto il bene della popolazione, purtroppo è solo un esempio di come il capitale delle corporazioni, agendo sul mercato con grandi risorse, mette in un angolo la concorrenza e determina lo scippo di ogni valore a proprio ed esclusivo vantaggio.

    • Non è stato il mercato a non fare il bene della popolazione ma la sua assenza. L’intervento politico sulle acque è un’interferenza legislativa contro il mercato, non importa se poi c’è stata una rivendita. Perché quest’iltima non è stata un atto spontaneo di piccoli imprenditori che hanno venduto a società multinazionali ma un’indebita ingerenza amministrativa gestita da chi imprenditore non è. E che comunque non ama il mercato.

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