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Gli aiuti esteri statunitensi servono solo ad arricchire le grandi aziende con i soldi dei contribuenti

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di JOEL SALATIN Ecco due storie personali sugli aiuti esteri. Circa 20 anni fa, quando Slow Food mi chiese di far parte della delegazione statunitense al Convivium Internazionale di Slow Food a Torino, Italia, ospitato da Carlo Petrini, ci andai con Michael Pollan. Ogni volta che non parlavo, assistevo alle presentazioni di una delegazione di un paese africano. Ognuna di esse iniziava più o meno così: "Abbiamo molte risorse. Possiamo nutrirci da soli. Voi paesi occidentali dovete lasciarci in pace. Il vostro dumping di cibo a basso costo spiazza i nostri agricoltori abbassando i prezzi al punto che la nostra agricoltura indigena non può competere. Questi agricoltori, imprenditori e operatori del sistema alimentare spiazzati si scocciano e diventano signori della guerra e capi di bande criminali". Ero sbalordito. Era un'accusa così generale, ripetuta più e più volte, che trascorsi l'intero soggiorno di più giorni scusandomi per essere americano. Mi ha fatto capire che
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