di GERARDO COCO
Ottanta anni fa, nel 1936, veniva pubblicata la Teoria Generale dell’occupazione, interesse e moneta dell’economista di Cambridge, John Maynard Keynes (1883–1946), una delle opere di economia più influenti che siano mai state scritte. Un giornalista americano la definì il Das Kapital del 20°secolo. Keynes conquistò il mondo politico e accademico occidentale come Carlo Marx conquistò la Russia e la Cina. Contenuti a parte, altrimenti si farebbe un torto a Marx, entrambi hanno un punto in comune: mirarono ad abbattere l’edificio logico creato dagli economisti classici (Smith, Ricardo, Mill) con due “teologie”: Marx con quella del ‘plusvalore’; Keynes con quella del ‘deficit’.
Prima dell’avvento della “rivoluzione keynesiana” la condotta fiscale dei governi era stata improntata ai chiari principi degli economisti classici, per i quali i bilanci pubblici dovevano essere in equilibrio e i deficit dovevano essere tollerati solo in
Qualcuno fece credere a Keynes di esser un ottimo economista, intelligente, previdente, accorto ed originale.
E lui ci ha creduto, purtroppo, impegnandosi nel produrre quell’accozzaglia di bestialità e non sense contenuti nel suo testo.
I politici, poi, ne hanno approfittato in ogni modo delle sue astruse teorie.
Fino alla miseria ed all’eccezionale indebitamento internazionale.