di ROMANO BRACALINI
Già prima di diventare capo dello Stato, unico esempio in campo occidentale di un comunista assurto ai più alti fastigi, a Napoli, la sua città, lo chiamavano O’ Re per l’impressionante rassomiglianza con il principe Umberto di Savoia di cui si mormorava fosse il figlio spurio. Una certa alterigia, che gli viene dalla milizia comunista, sia pure raffazzonata dal Bottegone romano, l’ha sempre avuta e si direbbe un portato della scuola autoritaria, ma nei fatti l’uomo si è sempre barcamenato guardandosi bene dal mettersi in urto con chi comandava nel partito.
Fu un devoto seguace di Togliatti, anche nelle scelte più odiose e imbarazzanti, però collocandosi a “destra” nel partito, per poter più agevolmente accomodarsi alla corte del vincitore di turno. E’ sempre stato un gregario, non un protagonista. Ma con la vocazione al compromesso, all’accomodamento, linea che non contrastava con la bonarietà partenopea, alla morbidezza melliflua del
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