di MATTEO CORSINI
Certi articoli scritti da persone in lutto perché nell’America trumpiana è in corso una reazione all’eccesso di wokismo degli anni scorsi sono esilaranti. Beth Kowitt, commentando un recente evento di Victoria’s Secret, si duole del regresso registrato dal marchio. Che, per inciso, ha bisogno di aumentare le vendite e pare che per farlo abbia deciso di tornare a puntare sull’immagine sexy delle modelle. Qualcosa che pare non dispiacere alle clienti, e suppongo neppure ai partners delle stesse.
Kowitt racconta che all’evento “c’erano modelle di tutte le taglie e tonalità di pelle. C’erano una modella transgender e una modella incinta di nove mesi, che ha aperto la sfilata. C’erano la star della WNBA Angel Reese e la ginnasta olimpica SuniLee in passerella, e le performance musicali di una formazione tutta al femminile composta da Missy Elliott, Karol G, membri del gruppo K-pop TWICE e Madison Beer. Ma in sostanza, lo spettacolo rimane lo stesso di sempre: donne seminude che sfilano su e giù per la passerella. La nuova era del sexy è praticamente identica alla vecchia. Non c’è nulla di sfumato”.
Ora, già il fatto che ci fossero modelle di tutte le taglie rende poco conforme alla realtà storica parlare di un ritorno al passato, ma tant’è. Però è ridicolo pretendere che un’azienda che produce per lo più biancheria intima femminile non faccia sfilare “donne seminude”. Sempre che non si voglia dar seguito ai diktat del dittatore dello Stato libero di Bananas, il quale, appena autonominatosi presidente, stabilisce, tra le altre cose, che la biancheria intima debba essere cambiata ogni trenta minuti ed essere indossata sopra gli altri indumenti (nel film poco dopo qualcuno gli spara, ponendo fine alla sua breve presidenza e anche alla sua vita).

Conclude indignata Kowitt: “Gli amministratori delegati di American Eagle e Victoria’s Secret hanno entrambi affermato che la loro rinnovata dipendenza dal sexybranding è nata dal rifiuto di prendere decisioni per paura di una reazione negativa. Ma non c’è nulla di coraggioso nel vendere alle donne basandosi su vecchi stereotipi. È noioso, pigro e poco creativo. Certo, ci sarà sempre un pubblico che seguirà il reboot. Ma c’è anche un intero mercato là fuori pronto per essere conquistato, che non vede l’ora di vedere qualcosa di diverso e nuovo”.
Detto, per inciso, che l’amministratore delegato di Victoria’s Secret è una donna, quella che Kowitt definisce “dipendenza” in realtà è una libera scelta, che lei considera pigra, noiosa e poco creativa, ma pare stia facendo bene alle vendite. E siccome prima del “ritorno al passato” le cose andavano peggio, pare che il “qualcosa di nuovo” a cui si riferisce Kowitt non sia quello che volevano le clienti della società.
D’altra parte, con la pretesa della novità e della creatività, che in realtà era solo un adeguamento al wokismo imperante, Bud Light con testimonial una persona trans fu un flop, per non parlare della fallimentare campagna Jaguar, che ha reso ancora più buio il futuro di quella che fu una gloriosa casa automobilistica. O della non certo brillante idea di Harley Davidson, che poi ha fatto marcia indietro, di produrre modelli elettrici, quando l’appeal principale di una moto Harley Davidson è il suo sound sgarbato.
Ma non si preoccupi Kowitt: per qualsiasi cosa, se davvero c’è una domanda di mercato, l’offerta arriverà.


Gran foca la Bundchen!