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Trump fa il keynesiano, ma a krugman non piace lo stesso

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di MATTEO CORSINI “E’ arduo vedere una qualsivoglia ragione per un metodo ridondante e indiretto che offrirebbe a poche persone affari d’oro, fornendo così sia i mezzi sia i motivi per una corruzione su larga scala. O probabilmente dovrei dire che è arduo vedere una ragione per questo schema a meno che la corruzione non sia parte integrante dello stesso e non un difetto”. Alle prese con le proposte sgangheratamente keynesiane del presidente eletto Donald Trump in merito alla spesa per infrastrutture, il keynesiano progressista Paul Krugman cerca di prendere le distanze da un progetto che, se fosse stato presentato dalla signora Clinton, con ogni probabilità avrebbe accolto gioendo. Krugman storce il naso non già perché i conti pubblici, già notevolmente peggiorati negli ultimi otto anni, peggioreranno ulteriormente qualora Trump concretizzi le promesse elettorali, bensì perché le infrastrutture non sarebbero finanziate prevalentemente facendo ricorso al debito pub
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