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Una questione etica e morale: essere eletti senza sedere in parlamento

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di ENZO TRENTIN Chi, ancorché eletto, entra nelle istituzioni italiane deve fare giuramento di fedeltà alla Costituzione. Lo fa il Presidente della repubblica in quanto garante della Charta. Lo fanno il Presidente del consiglio dei ministri, ed i singoli ministri. Lo fanno i militari. Ci mancherebbe, dispongono delle armi! Lo fanno gli eletti negli Enti Locali. Un esempio? «BRONTE – Penultimo step prima che a Bronte la macchina amministrativa parta a pieno regime. Ieri sono stati il neosindaco, Graziano Calanna, e i venti consiglieri a prestare giuramento in un’aula gremita di cittadini». (Si veda qui). Come può un sedicente indipendentista eletto rappresentante nelle istituzioni italiane – quindi, che giura sulla Costituzione - operare per l'indipendenza di una parte del territorio di questo Stato? Esiste una questione morale ed etica? Noi ne siamo convinti, ma poniamo il quesito affinché qualcuno, se del caso, esponga le sue tesi. La questione morale non ha nulla
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4 COMMENTS

  1. Nel teatrino della politica “democratica” (secondo la interpretazione del blocco NATO-UE) finta, i politici sono solo delle misere comparse che tengono il palco ai primi-attori (capigruppo, ministri e presidenti) che recitano ogni sera la loro parte dagli schermi televisivi per illudere il popolino ignorante di essere rappresentato onestamente.
    In realtà chi comanda opera nell’ombra adottando metodi sporchi (ricatto e corruzione) per tirare le fila dei burattini-politici impiegando strumenti “nobili” e potenti: banche, servizi di informazione (per raccogliere informazioni compromettenti) e media (TV e giornali per “assassinare” mediaticamente i burattini-politici riottosi).
    Non so se nelle altre parti del mondo fuori dall’influenza anglo-USA-sionista le cose vadagno meglio oppure se il regime è più chiaramente visibile. Qui funziona così da decenni (almeno da quando è passato Napoleone e la rivoluzione, i cui metodi sono stati ben appresi dai Saboja e dai mandanti inglesi)

  2. ll politico indipendentista eletto nelle istituzioni italiane potrebbe replicare dicendo che il giuramento è, semplicemente, falso, non intimamente creduto, strumentale. Da ciò, ovviamente, non segue che ogni altro comportamento deve essere segnato da ipocrisia. Si può conservare rigore etico rispetto ad un contenuto e non rispetto ad altri. Il politico eletto nelle istituzioni italiane potrebbe ricordare che chi rileva, giustamente, nel giuramento sulla Costituzione italiana contraddizione e cedimento morale, paga egli stesso le tasse ad uno stato straniero e non è disposto ad andare in prigione per questo motivo.
    Il politico indipendentista che spergiura sulla Costituzione italiana si rivolge ai desideranti l’indipendenza ed indica nella sua persona il mezzo per realizzarla. Il rapporto di fiducia è fondato, da parte dell’elettore, sulla presunzione di un comune desiderio, non sulla moralità del politico.
    Pur supponendo che il politico spergiurante sia mosso veramente dal desiderio di indipendenza per il suo popolo, egli deve essere necessariamente motivato anche dall’aspettativa di accumulo di potere. Si trova così, sempre, in ogni momento della sua attività politica, a dover scegliere tra incremento immediato di potere personale (e la via migliore è la partecipazione alle attività delle istituzioni politiche italiane di ogni livello) e risposta alle proprie passioni indipendentiste. Si tratta di una scelta alternativa. Egli compie sempre la prima scelta e, per giustificarla, sposta in AVANTI la decisione che soddisferebbe la seconda (non discuto ora se si tratti o meno di una scelta razionale).
    E’ proprio ammettendo la buona fede del politico indipendentista che comprendiamo che dietro la scelta che compie c’è la credenza che le istituzioni italiane rappresentino la via migliore per raggiungere l’indipendenza per il suo popolo. Si tratta di chiarire quanto sia razionale questa credenza e verificare se, invece, non si tratti di autoinganno; ovvero di un espediente psicologico utile per poter continuare a dichiararsi indipendentista pur preferendo strettamente l’accrescimento del proprio potere (si noti che il concetto di indipendenza politica evoca la frammentazione del potere politico, non la sua concentrazione, men che meno in una sola persona).
    A mio parere, rispetto all’obiettivo dell’indipendenza di un popolo padano, non c’è nulla di razionale nel seguire la via delle istituzioni politiche italiane. La storia d’Italia, come quella della Spagna, ci parlano di contesti refrattari ai principi liberali e libertari.
    Ma il meccanismo dell’autoinganno sopra indicato (ma non descritto nei suoi particolari) può rispondere, oltre che all’esigenza di accumulare il potere personale, anche ad un strutturale timore reverenziale, ad una soggezione, alla paura di subire una sconfitta da parte dello stato italiano. Spesso si parla di autonomia riferendosi ad essa come ad un passo che necessariamente deve precedere l’indipendenza. E’ un grosso errore che alimenta sospetti e riduce opportunità sia rispetto alla negoziazione dei poteri tra stato centrale ed amministrazioni locali, sia rispetto alla lotta per l’indipendenza politica di un territorio, sia rispetto all’edificazione di indipendenza sostanziale in un popolo.
    L’autoinganno, se alimentato dalla volontà di incrementare il potere personale, colloca la distruzione dello stato italiano, la secessione, nel campo delle scelte vagamente desiderate ma controproducenti. Le preferenze tra potere nello stato italiano ed in un ipotetico stato veneto o padano non sono continue. Per quanto sia piccolo il potere ottenuto nel primo non sarà mai paragonabile a quello ottenuto nel secondo (e in ogni caso si tratterà sempre di scegliere tra tanto nel primo ed altrettanto o poco di più nel secondo).
    L’autoinganno, se generato da paura dello stato italiano, non consentirà di valutare le opportunità di lotta indipendentista probabilmente vincenti.
    L’immoralità del politico indipendentista spergiurante sulla Costituzione italiana messa in luce nell’articolo, e la meno evidente immoralità che grava sulla coscienza di ciascuno di noi nel rapporto con lo stato italiano può essere superata solo nel momento della rivolta, la cui realizzazione dipende da discussioni, azioni individuali e collettive e complicazioni che fanno capo ad altri meccanismi sociali.

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