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Francesco Guccini, il cantore senza vergogna di Ernesto “Che” Guevara

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di LEONARDO FACCO Francesco Guccini - che ha ammaliato una miriade di persone definitesi di destra - con la sua voce roca e la poetica d’altri tempi, è stato per decenni il cantore ufficiale di una certa sinistra romantica, rivoluzionaria, intrisa di nostalgia per un comunismo immaginario che non è mai esistito se non nelle fantasie dei suoi sostenitori, veri e propri adepti. Chi conosca a fondo i suoi testi — da La locomotiva a Eskimo, da Cyrano fino a Stagioni — ritrova sempre lo stesso schema: l’elogio dell’uguaglianza imposta, la simpatia verso il ribellismo socialista, la fede quasi religiosa nella rivoluzione dei “buoni”, contrapposta a un mondo borghese e reazionario dipinto come monoliticamente malvagio. È curioso, però, che in questa narrazione manchi sempre un dettaglio: la realtà. La realtà del comunismo storico (e contemporaneo), con le sue tragedie gigantesche — dai gulag sovietici alle carestie maoiste, dalle prigioni cubane ai massacri cambogiani,
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