di GIOVANNI BIRINDELLI
In un recente articolo Massimo Fini è partito dalla tesi che il ‘diritto al lavoro’ non esiste per arrivare a sollevare una specie di grido di dolore, o di disprezzo, verso la civilizzazione. Da una prospettiva liberale, la sua analisi è inaccettabile. Sulla tesi di partenza, e cioè sul fatto che il ‘diritto al lavoro’ non esiste, il liberale è perfettamente d’accordo. Non per le motivazioni che sostiene Fini (“è inutile sancire il diritto al lavoro se il lavoro non c’è”), ma perché il cosiddetto ‘diritto al lavoro’ (così come il ‘diritto alla casa’ e a qualunque altra cosa) presupporrebbe una violazione dei diritti di proprietà di altre persone (coloro che dovrebbero dare il lavoro oppure a cui verrebbero imposte tasse perché lo stato lo possa dare) e quindi della legge intesa nel suo senso originario e cioè come principio astratto (risultato di un processo spontaneo di selezione culturale di usi e convenzioni di successo) e
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