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Trenitalia in ritardo, metafora dell’italia borbonica

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di ROMANO BRACALINI Agli appassionati del Gran Tour in Italia i Lloyd inglesi dell’Ottocento raccomandavano di fare testamento prima di mettersi in viaggio. Un consiglio non superfluo nemmeno oggi. Si parte, non si sa quando si arriva, esattamente come i viaggiatori del passato che entrando in Italia dalla Cote d’Azur, fra rigoglio di limoni, mirtilli e palme dovevano sapere che le strade della penisola non erano altrettanto sicure e belle, le locande erano infestate dai pidocchi e dalle cimici e i pochi treni, puzzolenti e lenti, non erano in grado di assicurare un servizio decente. Sono passati quasi due secoli, i treni italiani “super veloci” sono stati chiamati con i nomi più illustri del nostro Rinascimento, Giotto, Brunelleschi, Tintoretto, Caravaggio, uno sfoggio di orgoglio nazionale che non riesce a vincere la fiacca delle ferrovie italiane. Il Pendolino aveva un nome sinistro e ogni tanto deragliava. Il treno che lo ha sostituito si chiama Eurostar. Non è ancora
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