di PAOLO MATHLOUTHI
In piazza Vorosmarty due ragazzini, seduti su una panchina, si baciano all'ombra della gigantesca statua in bronzo di Imre Nagy, giustiziato dai sovietici nel 1956 dopo aver guidato il suo popolo alla rivolta. Dell'insurrezione armata che infiammò l'Ungheria in quei giorni lontani i due innamorati, probabilmente, non sanno nulla. I martiri della primavera ungherese sono stati dimenticati. Nessuno ricorda Miklos Vasarhely, che finì impiccato come un predone, e la vedova di Pal Maleter, l'ufficiale che ordinò ai soldati di ammutinarsi sul quale Montanelli scrisse pagine commoventi, non viene più invitata alle cerimonie ufficiali. La rivolta dei Santi Maledetti magiari è stata rimossa dalla memoria collettiva del popolo ungherese.
Qualcuno, però, riannoda ora i fili dispersi del ricordo. Poco più in là si è appena concluso un comizio di Gabor Vona, leader dello Jobbik, movimento identitario e populista che nel 2009 è salito al potere modificando la cost
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