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Haiti, quando gli schiavi erano liberi solo da morti

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di GIANNI SARTORI Raramente le parole hanno reso con tale cruda evidenza il duplice grado di alienazione derivato dalla perdita della propria identità e contemporaneamente dall'identificazione dell'oppresso con la scala di valori dell'oppressore (o, se preferite, della vittima e del carnefice). Gli schiavi di Haiti, in gran parte originari dal Dahomey, per indicare la fuga usavano l'espressione “rubare il proprio cadavere” (Les chasses à l'homme, di Grégoire Chamayou).  Consapevoli che la condizione di schiavo corrispondeva alla morte civile, utilizzavano ancora il linguaggio dei loro padroni. Classificati dalla legge del tempo come “beni mobili”, continuavano a percepirsi come proprietà (“merce”) anche quando si ribellavano. All'epoca la “Società mercantile dello spettacolo” era ancora in fasce, ma quasi sicuramente i situazionisti avrebbero parlato di reificazione (“cosificazione”), anche delle coscienze. Lo schiavo in fuga versava nella stessa cond
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