di SALVATORE ANTONACI
Alla fine la paura e la rassegnazione hanno prevalso nel referendum sul fiscal compact europeo svoltosi in un Irlanda depressa e commissariata dalla quasi onnipossente troika. In una delle giornate più piovose dell'anno meno della metà degli elettori si sono recati alle urne, dato addirittura più basso della già non esaltante media locale. Contrariamente ad occasioni precedenti, la scarsa affluenza non ha inficiato il sostanziale vantaggio di cui godevano, sin dall'inizio della campagna elettorale, i fautori del sì all'euro-disciplina.
Il risultato finale, infatti, ha visto prevalere costoro in una proporzione vicina al 60/40 vaticinato da tutti i sondaggi della vigilia. Dei tradizionali partiti irlandesi, il Fine Gael, il Fianna Fail (all'opposizione dopo decenni al timone dell'isola) e il Labour si erano schierati a favore. Il solo Sinn Fein, espressione della sinistra nazionalista, poi raggiunto dalla United Left Alliance, una coalizione di parti
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