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Il mercato non è libero, tantomeno quello cosiddetto “green”

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di MATTEO CORSINI

In un mercato veramente libero ogni scambio avviene su base volontaria. Ne consegue che ogni impresa realizza profitti se è capace di anticipare la domanda dei consumatori e di soddisfarla meglio dei concorrenti, sostenendo costi di produzione e commercializzazione inferiori ai ricavi. Sembrerebbe semplice, ma in realtà non lo è, come testimonia il gran numero di imprese che falliscono dopo pochi anni dalla loro costituzione o che, dopo essere state a lungo profittevoli, non riescono più a soddisfare meglio dei concorrenti la domanda dei consumatori.
Nella realtà di tutti i giorni i mercati non sono mai veramente liberi, quindi la bravura nello sfruttare la legislazione o addirittura la capacità di influenzare a proprio vantaggio il processo legislativo sono fattori spesso molto rilevanti nel determinare la profittabilità di un’impresa.
La transizione green è un esempio lampante di tutto ciò, perché è innegabile che obblighi, divieti e incentivi definiti per via legislativa generino costi a carico di qualcuno, ma anche occasioni di realizzare profitti per altri. I quali solitamente dicono, non senza una dose più o meno consistente di ipocrisia, che lo fanno per il bene del pianeta.
A volte capita perfino di sentire costoro invocare la mannaia fiscale per “incentivare” comportamenti virtuosi, omettendo di dire che da tutto ciò ricaverebbero laute occasioni di realizzare profitti. Ma tant’è. Basta poi assumere la forma di società benefit e tutto appare angelico, e pazienza se i compensi come amministratori sono poi commisurati ai profitti non distribuiti.
Mi è capitato, per esempio, di imbattermi in suggerimenti per elettrificare il parco auto in meno di dieci anni, partendo dalla situazione attuale in cui solo 4 auto su 100 immatricolate sono elettriche. Come fare? Semplice: imponendo una tassa di 500 euro sulle vendite di auto con motore endotermico, par di capire a prescindere dal valore commerciale delle stesse. Metà della tassa andrebbe destinata a incentivare l’acquisto di auto elettriche e pannelli fotovoltaici per far sì che anche la ricarica casalinga avvenga a impatto zero. L’altra metà compenserebbe lo Stato per il mancato gettito da accise sui carburanti.
All’inizio ogni acquisto di auto elettrica potrebbe beneficiare quindi di un incentivo di 6000 euro. Il problema è che, se davvero in un decennio si dovesse arrivare ad avere elettrificato tutto il parco auto, il gettito della tassa da 500 euro tenderebbe a zero, di pari passo con gli incentivi. E non serve essere un bambino prodigio per fare questi calcoli. Il tutto a prescindere da ogni considerazione sulla (im)moralità del provvedimento.
Ovviamente si dà poi per scontato che ognuno abbia la possibilità di ricaricare l’auto a casa propria, che tipicamente è possibile per chi ha un box o quanto meno un cortile nel quale collocare le vettura. Suppongo che costoro siano convinti che tutte le auto che si vedono parcheggiate nottetempo ai lati delle strade siano appartenenti a persone che non hanno sufficientemente a cuore il benessere delle loro macchine e preferiscono tenere vuoti i box di proprietà o riempire il cortile con statuette di Biancaneve e i sette nani.
Chi, poi, non volesse rinunciare al rombo della propria Ferrari, potrebbe continuare serenamente a usarla, dato che si tratterebbe di pochi individui e l’impatto delle emissioni sarebbe trascurabile. Quanto ai poveracci che non potrebbero permettersi l’auto elettrica e neppure la Ferrari, potranno consolarsi pensando al bene che fanno al pianeta, par di capire.
Io cerco di riderci sopra, ma non c’è tanto da ridere…

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