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I parassiti della burocrazia italiana costano 57 miliardi di euro alle imprese

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di REDAZIONE

Dopo due anni di crisi pandemica, a cui si sono aggiunte negli ultimi mesi le difficoltà di reperire le materie prime e il caro energia, continua, in maniera altrettanto preoccupante, la stretta dell’oppressione burocratica sugli imprenditori. Lo rileva la Cgia di Mestre sottolineando che a causa dell’eccessivo numero di adempimenti, di permessi e l’espletamento delle pratiche richieste dalla nostra burocrazia, il costo annuo in capo alle imprese italiane ammonta a 57 miliardi di euro. L’Ufficio studi degli Artigiani ha «ricostruito» la dimensione economica di questo fenomeno, alle luce delle analisi elaborate dall’Istituto Ambrosetti e da Deloitte.

L’analisi
I tempi, i costi e la farraginosità della cattiva burocrazia italiana costituiscono un problema che caratterizza negativamente il nostro Paese, all’interno del quale sono presenti forti differenziazioni tra Nord e Sud, nonché tra regioni a statuto ordinario e regioni a statuto speciale. Nel Mezzogiorno, dove la nostra Pubblica Amministrazione è meno efficiente, la situazione è maggiormente critica. E come segnala l’Ocse, la produttività media del lavoro delle imprese italiane è più elevata nelle zone dove l’Amministrazione pubblica è più efficiente. Per contro, dove invece è più bassa, la produttività del settore privato ne risente negativamente. Lo studio della Cgia, inoltre, si dimostra che l’inefficienza del settore pubblico «produce» maggiori costi economici alle piccole che alle grandi imprese.

Confronto impietoso
Il risultato che emerge dal confronto con gli altri Paesi europei è impietoso: nel decennio 2008-2018, gli ultimi dati disponibili dati del World Economic Forum mostrano che il grado di complessità amministrativa che grava sulle imprese è nettamente superiore da noi che negli altri principali paesi nostri competitori. Nel ranking mondiale ci posizioniamo al 136/o posto: rispetto a 10 anni prima abbiamo perso addirittura sei posizioni. Se a livello regionale ci confrontiamo con il resto d’Europa anche sulla percezione della qualità, imparzialità e corruzione della nostra pa, il dato che affiora è molto desolante. Su 208 regioni monitorate a livello europeo dall’Università di Goteborg (anno 2021), la prima realtà territoriale italiana per qualità istituzionale, vale a dire la provincia Autonoma di Trento, si colloca al 100/o posto. Seguono il Friuli Venezia Giulia al 104/o, il Veneto al 109/o, la Provincia Autonoma di Bolzano al 117/o e la Toscana al 126/o posto. Puglia (190/o), Sicilia (191/0), Basilicata (196/o), Campania (206/o) e Calabria (207/o) si «piazzano» negli ultimi 20 posti della graduatoria.

Le richieste delle imprese
Le imprese, conclude la Cgia, chiedono che il rapporto con la Pa si semplifichi con una sola istanza, una sola piattaforma informatica, una sola risposta ed un solo controllo. Fondamentale, infine, il monitoraggio delle semplificazioni già introdotte, evitando l’emanazione continua di norme che modificano le precedenti, complicando ulteriormente la vita delle aziende.

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