di MANUEL MONTERO*
Dal carcere è uscito da quasi 14 anni. Dentro, ne ha passati una ventina. Da Bergamo a Busto Arsizio, da Monza a Opera, Pavia, Novara, Asti, giusto per citare alcune prigioni. E in ognuna di esse ha lasciato il ricordo di una forte allergia alle direttive: «Volevano che stessi in una cella singola insieme ad altre due persone, un cesso e, se andava bene, una finestra. Due metri quadri a testa, chiuso così 22 ore su 24. Mi rifiutavo di entrare e finivo in isolamento. Perdendo ogni beneficio di legge. Oggi l’Italia è stata condannata più volte dalla Corte di Strasburgo per le stesse cose che io all’epoca denunciavo: un sovraffollamento disumano e incivile. È la mia personale rivincita». Si chiama Gianfranco Consoli, è bergamasco. E per via della sua abilità di sfuggire alle forze dell’ordine, divenne noto alla cronache come la “Primula Rossa” della Val Cavallina.
Tuttora si batte per i diritti dei detenuti e per denunciare i paradossi della giu
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