di PAOLO L. BERNARDINI
E’ un’elegia in morte di Venezia composta nel 1802 dal poeta romantico inglese William Wordsworth, che ho tradotto (e forse tradito) in endecasillabi sciolti, come buon auspicio per la lotta per l’indipendenza del Veneto (e non solo di esso, ovviamente). Wordsworth (1770-1850), non è forse, in Italia, ma in generale nel resto dell’Europa continentale, amato e conosciuto quanto dovrebbe. Non gli giova, di certo, la fama di poeta ben integrato nel sistema, “poeta laureato” dal 1843 fino alla morte, uomo e intellettuale di regime, si direbbe. Si preferiscono di solito i romantici dalla vita più avventurosa, in generale, la trilogia maledetta Byron-Shelley-Keats, che con l’Italia ebbe una relazione assai più forte, mortale, e vitale, di quanto la abbia mai avuta Wordsworth. Eppure Wordsworth occupa una posizione salda in ogni canone della letteratura inglese, anche se alla fine, oggi come oggi, sono forse più interessanti le figure con cui entrò
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