di MATTEO CORSINI
Come è noto, in Italia è definito “equo compenso” non già quello derivante da un accordo volontario tra le parti, bensì quello che non sia inferiore a un limite minimo fissato, possibilmente per legge, su indicazione degli ordini professionali.
Quando l’offerta supera la domanda, il prezzo di un determinato bene o servizio tende a diminuire se vi è qualche barlume di mercato. Questa è, di fatto, la situazione di diverse categorie professionali in Italia. In un articolo a firma di Andrea Dili sul Sole 24 Ore, mi è capitato di leggere, tra le altre cose:
«Il dibattito sull'equo compenso nasce e si sviluppa partendo dalla constatazione che questi lavoratori, nonostante rappresentino la parte più scolarizzata e “formata” del Paese, facciano fatica a vedersi riconoscere una remunerazione proporzionata alla qualità e alla quantità della prestazione resa. Tale diritto, peraltro, viene spesso eluso sia da una Pubblica amministrazione che, compl