di GIANLUIGI LOMBARDI CERRI
Sui vecchi (ma non troppo) vocabolari della lingua italiana alla voce “razzismo” compariva questa definizione: “Ritenere che una razza sia superiore ad un’altra e, pertanto, i governanti di questa razza si sentano autorizzati più o meno esplicitamente e a buon diritto (sic) come gestori, a tutti gli effetti , della razza cosiddetta inferiore”.
Oggi, per esclusivi interessi politici si è sbrigativamente stabilito che è da considerarsi razzismo anche solo non voler spartire, con una etnia diversa, niente se non il minimo indispensabile senza sopraffazioni di nessun tipo, ma rimanendo padroni in casa propria. Interpretazione talmente arbitraria da ritenere “razzista” un interista che non possa sopportare i milanisti (naturalmente in totale assenza di aggressioni fisiche o verbali). E talmente assurda rispetto alla logica che se io dico che gli afro-americani sono “atleti dello scatto” e i kenioti “atleti del fondo”, pur non essend
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