di ARTURO DOILO
Nel 2005 l’imprenditore svedese Johan Eliasch fece qualcosa che sembrava un paradosso: acquistò 400.000 acri di foresta pluviale amazzonica in Brasile, non per sfruttarla, ma per salvarla. Chiuse immediatamente ogni attività di disboscamento e dichiarò quell’enorme distesa di verde una riserva naturale privata. Nessun profitto, nessun ritorno immediato: solo tutela.
Un anno dopo fondò Cool Earth, un’organizzazione no-profit con un obiettivo preciso — fermare la distruzione delle foreste tropicali — e un metodo originale: proteggere la natura sostenendo le comunità indigene che la abitano. “Non si può salvare l’Amazzonia senza includere chi ci vive”, ripete spesso Eliasch.
La sua storia sembra smentire l’idea, tanto diffusa quanto superficiale, che il capitale sia nemico dell’ambiente. In realtà, rappresenta in modo sorprendente la tesi di Robert J. Smith, autore del saggio La Fattoria dei Capitali (Leonardo Facco Editore, 2003), un pi