di MATTEO CORSINI
Che di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’inferno se ne hanno molteplici dimostrazioni quotidianamente. L’inferno spesso è vissuto da individui e imprese nella loro veste di soggetti sottoposti a una sempre crescente stratificazione di regole che sono emanate, nelle intenzioni dichiarate, per il bene di tutti.
Ogni regolatore sopravvaluta le proprie conoscenze e competenze, tendendo anche a far equivalere con il bene di tutti ciò che lui ritiene esserlo. Di qui la volontà di di imporre obblighi e divieti a tutti quanti. Uno dei tanti esempi viene da un articolo di Andrea Imperiali, membro del Comitato sull’intelligenza artificiale di AgCom, che ha per oggetto, ovviamente, l’AI. Imperiali paragona l’AI all’elettricità.
“Nel 1882, quando Thomas Edison accese la centrale di Pearl Street a New York, nessuno immaginava gli ascensori. Illuminare le strade, quello sì. Ma cambiare il profilo delle città costruendo grattacieli? Impossibile da prevedere. Eppure bastarono vent’anni e Manhattan guardava il cielo, non più l’orizzonte. L’elettricità non fu solo una tecnologia. Fu una rivoluzione silenziosa. Pervasiva quanto l’aria. Trasformativa come poche altre invenzioni nella storia umana. Non migliorò solo ciò che facevamo – avere luce più velocemente – ma rese possibile l’impossibile. Il frigorifero cambiò il nostro approccio al cibo. Il telegrafo cancellò le distanze. La radio e la televisione inventarono i media di massa. In cinquant’anni, l’elettricità ridisegnò tutto: lavoro, città, comunicazione, vita quotidiana”.
Ma, come ogni invenzione rivoluzionaria, non ebbe solo aspetti positivi.
- “L’elettricità portò luce, ma anche morti per folgorazione, incendi, cortocircuiti. Ci vollero cinquant’anni per scrivere norme di sicurezza, standard di isolamento, regole per proteggere vite umane. Cinquant’anni per capire che l’innovazione senza tutele è un rischio, non un progresso”.
E ovviamente ci furono dei perdenti.
- “Quando arrivò l’elettricità, milioni di mestieri scomparvero in dieci-quindici anni. Lampionai, cocchieri, operai manifatturieri travolti dall’automazione. Ma in venti-quarant’anni ne nacquero molti di più: elettricisti, ingegneri, operatori di macchinari industriali, intere filiere prima inesistenti. Il punto non è negare la disruption. È governarla, perché il tempo tra perdita e ricostruzione non sia un deserto sociale”.
Questi e altri aspetti dell’AI richiedono regolamentazione, è la (scontata) conclusione di Imperiali.
“L’Europa ha un’occasione storica. Investire – sì, con risorse massicce – per competere ad armi pari con Stati Uniti e Cina. Ma investire con una visione che ci distingue: innovazione con responsabilità. Non possiamo permetterci di costruire infrastrutture AI senza simultaneamente costruire tutele. Quali? Sicurezza algoritmica. Trasparenza. Pluralismo dell’informazione. Sostenibilità ambientale. Governance democratica. L’AI Act europeo è un punto di partenza importante”. Regolamentare, ovviamente, “non per frenare l’innovazione, ma per renderla davvero al servizio dell’uomo. Non per paura del futuro, ma per avere il coraggio di progettarlo bene”.
Il tutto nello stesso periodo in cui la stessa Commissione europea riconosce che è necessario semplificare la regolamentazione, peraltro affidando l’incarico a quelle stesse strutture burocratiche che hanno generato il “mostro”. Curiosamente, nella pagina a fianco, Giuliano Noci tratta l’argomento delle regole europee con queste (condivisibili) parole:
- “Entrate pure nel più grande museo contemporaneo del Vecchio Continente: il Museo delle Regole Europee. Corridoi infiniti, teche luccicanti, cartellini ben scritti. Un luogo così perfettamente immobile da far invidia alle piramidi. L’ultima installazione? Il Digital Omnibus, presentato il 19 novembre con l’ambizione dichiarata di «ridurre l’onere normativo» e «aumentare la competitività». In pratica: abbiamo spolverato i candelabri del museo e pretendiamo che l’Europa diventi Silicon Valley. La verità, però, è che il Digital Omnibus somiglia più alla nuova brochure del museo, non a un progetto capace
di cambiare la realtà. E già il nome, “omnibus”, suona come una barzelletta involontaria: include tutto e non porta da nessuna parte. La Commissione propone modifiche ai quadri normativi su privacy e Ai, ma la sensazione è quella di un restauro filologico del passato: ritocchiamo Gdpr e Ai Act senza però mettere mano al vero problema. Come se si cambiasse cornice a un quadro fuori fuoco. Il punto è che l’Europa non ha un disegno, un’idea, un orientamento. Siamo fuori fuoco, sì, e non da oggi. Le attuali regolamentazioni — nate in un contesto completamente diverso — sono diventate quella famosa camicia di forza che rischia di zavorrare definitivamente ogni velleità di sviluppo dell’intelligenza artificiale nel continente. E la soluzione proposta? Minuscoli «correttivi». Cerotti su un arto ingessato. Nel frattempo, continuiamo ad abitare una giungla normativa che non ha eguali al mondo: un intreccio composto da cento leggi specifiche per il tech e oltre settanta nuove normative introdotte dal 2019. Un ecosistema talmente fitto che neppure un machete regolatorio basterebbe.”
Tra le (lapidarie) conclusioni:
- “Il mito del controllo totale è morto da tempo. Controllare tutto significa fermare tutto. E fermare tutto significa spegnere l’unica speranza di futuro”.
Ludwig von Mises aveva (come sempre) centrato il problema quando, nel libro “Burocrazia” avvertiva che la rigidità burocratica “non è inerente l’evoluzione del business. E’ il risultato dell’interferenza del governo nel business”. Affermando poi che “nessuno può essere al tempo stesso un buon burocrate e un innovatore” e che “ovviamente, la gran parte dei burocrati erano uomini mediocri”.
E l’evidenza empirica di decenni lo conferma.

