di PAOLO L. BERNARDINI
La grande scuola liberale italiana – da Francesco Ferrara a Luigi Einaudi – non prevalse, per quanto rilevante, nel panorama filosofico del primo Novecento italiano. Eclissata dal socialismo, dal comunismo, dall’esistenzialismo, dallo storicismo, dai residui di Scolastica, a cui si aggiunge il pessimismo decadente di Nietzsche, visse una vita poco luminosa. Ma per fortuna vi furono autori che non erano né filosofi di professione, né tantomeno giuristi e/o economisti, che seppero dare uno slancio e una consistenza notevoli al pensiero liberale, senza magari neppure riconoscersi esplicitamente e/o avvertitamente in esso.
Vorrei qui dunque ricordare Pio Cavalli – al mondo noto solo perché padre del grandissimo genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza, nato a Genova nel 1922 e morto a Belluno nel 2018, dopo una vita passata a dimostrare, con gli strumenti nella scienza, e in California (per la maggior parte del tempo) l’assurdità del razzismo genetico,
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