venerdì, Dicembre 5, 2025
7.9 C
Milano

Fondatori: Gilberto Oneto, Leonardo Facco, Gianluca Marchi

Il caldo uccide? Smontare la propaganda climatica con un po’ di logica

Da leggere

di FRANCO CAGLIANI

Nel luglio del 1957, le cronache italiane raccontavano di un’ondata di caldo soffocante sull’Alta Italia. La Domenica del Corriere, in un numero del 21 luglio di quell’anno, scriveva di un’eccezionale temperatura di 38,1°C all’ombra a Milano, con un bilancio drammatico: decine di anziani deceduti negli ospizi di città come Venezia, Padova e Milano. Nessuno però, all’epoca, parlò di emergenza climatica o invocò la fine dell’era industriale. Era “solo” estate.

Oggi, invece, ogni ondata di calore è immediatamente incasellata nell’agenda del cambiamento climatico antropogenico. Il discorso pubblico si è trasformato in un crescendo di allarmismo, in cui il dibattito scientifico viene sostituito da una narrazione monolitica e allarmata. L’ultimo esempio lo offre un recente studio dell’Imperial College di Londra, ripreso acriticamente dal Corriere della Sera, che attribuisce presunti decessi per caldo all’uso dei combustibili fossili. La conclusione degli studiosi? Ogni frazione di grado di riscaldamento fa un’enorme differenza.

Ma davvero è così?

Lo scetticismo argomentato di Franco Battaglia in un articolo, docente di Chimica Fisica e firma del quotidiano La Verità, ci ricorda che prima della “scienza del consenso” esisteva la scienza del ragionamento. Nel suo articolo, Battaglia smonta pezzo per pezzo lo studio anglosassone, facendo notare incongruenze logiche e assunti arbitrari che rendono le conclusioni non solo dubbie, ma scientificamente inconsistenti.

Prendiamo Roma. Secondo lo studio, tra fine giugno e inizio luglio, l’aumento di temperatura rispetto a una media storica sarebbe stato di 2,45°C, con un “eccesso di mortalità” stimato in 164 persone. Peccato che la temperatura media di quei giorni fosse di 30,12°C, e che – sempre secondo lo studio – se fosse stata di 27,67°C (cioè 2,45°C in meno), i decessi “in eccesso” sarebbero stati zero.

Fin qui il ragionamento regge. Ma poi ci si imbatte nel caso di Londra, dove con una temperatura media di 24,6°C si sarebbero verificati ben 171 decessi per caldo. Ora, come fa a esserci più mortalità a 24°C che a 27? La risposta è semplice: non può esserci. A meno che, ironizza Battaglia, “non si ipotizzi che anche al Polo Nord ci siano morti per colpi di calore”.

Il vero problema dello studio, come sottolinea l’autore, non è solo l’arbitrarietà dei dati, ma il fatto che tutti i numeri presentati siano frutto di modelli ipotetici, basati su assunzioni discutibili. Non si tratta di contare decessi reali, ma di stimare quanti sarebbero potuti avvenire se certe condizioni fossero state diverse. Una sorta di esercizio di climatologia controfattuale. Il condizionale domina, e con esso l’ambiguità.

Battaglia mette in luce il vizio logico centrale: attribuire a una variazione termica minima effetti macroscopici, senza considerare soglie fisiologiche, adattamenti e condizioni contestuali. È come dire che se due persone bevono 200 caffè e una muore, allora 200 persone che bevono un caffè ciascuna produrranno un morto. Un’assurdità statistica, ma utile per generare titoli e paure.

Ciò che emerge, dunque, è l’uso politico della scienza climatica. Lo studio dell’Imperial College (lo stesso che falsificò i dati sulle possibili morti da Covid nel 2020, inducendo Boris Johnson ad adottare restrizioni assurde) non mira a comprendere, ma a confermare un pregiudizio ideologico: che l’attività umana, in particolare l’uso dei combustibili fossili, sia un male assoluto. Eppure, l’evidenza storica dimostra che le estati torride esistono da sempre, così come la vulnerabilità di alcuni segmenti della popolazione.

La vera sfida non è sradicare il gas naturale o azzerare la CO₂, ma rafforzare i sistemi sanitari, migliorare l’assistenza agli anziani, garantire l’accesso all’aria condizionata, e fare in modo che le ondate di calore non si trasformino in tragedie evitabili.

Chi trae vantaggio dal catastrofismo? Forse chi ha interesse a imporre nuove regolamentazioni, tasse ecologiche, agende climatiche globaliste o investimenti obbligati in energie cosiddette “verdi”. Ma come sempre accade nella storia, il vero potere si esercita controllando la paura.

È tempo, conclude Battaglia implicitamente, di restituire alla scienza il suo compito originario: quello di indagare, non predicare. E magari, aggiungiamo noi, di rileggere i giornali del passato prima di farsi prendere dal panico. Perché il caldo, anche nel 1957, faceva sudare. Ma non serviva per vendere la fine del mondo.

Correlati

3 COMMENTS

  1. Ho uno sgabuzzino che tengo sempre chiuso e buio e c’è un termometro dentro. Anni 70-80-90 mai superato 29 gradi d’estate, ora va sempre a 30 (con record di 31).
    Come dicono in Usa, Battaglia può succhiarsi un limone.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Articoli recenti