di MATTEO CORSINI
Se c’è una cosa evidente, non solo in Italia, è che i sistemi pensionistici pubblici, che sono tipicamente a ripartizione, sono da tempo avviati all’implosione. E questo perché sono, in buona sostanza, degli schemi Ponzi. Le pensioni sono infatti pagate con i contributi versati da chi lavora, e questo fa sì che il declino delle nascite, accompagnato a un allungamento della vita media delle persone, siano un mix letale per l’equilibrio del sistema.
Il passaggio da schemi retributivi, in cui l’assegno dipende dai redditi percepiti durante la vita lavorativa, a schemi contributivi, in cui a determinare l’importo dell’assegno è la rivalutazione dei contributi versati, non è risolutivo. Rimuove le notevoli distorsioni tipiche dei sistemi retributivi sbilanciati sugli ultimi anni della vita lavorativa, soprattutto in presenza di forti aumenti di reddito in quegli anni; ma non cambia la natura di schema Ponzi, per cui se cala la quantità di contributi versati da chi lavora (perché cala il numero delle persone che lavorano e contribuiscono) il sistema traballa e si avvia all’implosione, salvo ricorrere alla cosiddetta fiscalità generale, ossia ai pagatori di tasse.
Questi concetti basilari sono spesso ignorati da una moltitudine di persone, e tanto i politici quanto i sindacalisti (che sono a loro volta di fatto dei politici) si guardano bene dal fare chiarezza. Semmai fanno il contrario. Ecco quindi che, un giorno sì e l’altro pure, se ne esce il sindacato di turno a invocare abbassamenti dell’età pensionabile o “flessibilità”. Da ultimo la Uil vorrebbe riportare l’età pensionabile a 62 anni, lamentando tra l’altro che gli assegni “non sono adeguati”. 62 anni e “senza penalizzazioni”, come precisa il segretario confederale Santo Biondo. Che chiede anche un
confronto con il Governo per “una riforma organica delle pensioni, capace di rispondere ai bisogni reali del nostro Paese”. Una formula magica, che malignamente ma realisticamente si potrebbe definire supercazzola.
La realtà, per quanto sia dolorosa (come direbbe Marsellus Wallace in Pulp Fiction), rende inevitabile, se si vogliono realizzare questi desideri, entrare sempre più pesantemente nelle tasche dei pagatori di tasse. E’ infatti possibile abbassare l’età pensionabile, ma se lo si fa senza abbassare gli assegni si deve aumentare la tassazione. Cosa che si dovrebbe fare anche ridimensionando gli assegni, perché molti di questi sarebbero da fame, il che porterebbe inevitabilmente a dover gravare sempre sui pagatori di tasse.
Esisterebbe anche l’ipotesi di riconoscere il fallimento del sistema e lasciare che ognuno si arrangi, contando sui risparmi accumulati o su aiuti concessi da altri volontariamente. Ma evidentemente questo presupporrebbe la volontà di smantellare il welfare state e la redistribuzione che esso comporta. Ipotesi ampiamente minoritaria (io sarei in quella minoranza), ma che realisticamente non verrà percorsa in un orizzonte prevedibile, comunque non prima di aver massacrato ulteriormente i pagatori di tasse. Perché, fondamentalmente, l’illusione di poter vivere alle spalle degli altri ha ancora tanti venditori e ancor più compratori.


Soluzione cilena subito!
Esiste un altra soluzione: separare la previdenza dall’assistenza, come avviene in altri Stati esteri.
La gestione artigiani e commercianti e quella speciale sono in pareggio, possono quindi tornare alla possibilità di andare in pensione con 40 anni di contributi e senza penalizzazioni.
Il problema sorge per altre gestioni e per la parte assistenziale che a mio parere comprende anche le pensioni “regalate” ovvero quelle a cui corrispondono pochi o nessun versamento pensionistico (sociali, baby, oro). Per queste ultime due assegni, uno dalla parte previdenziale dell’Inps (in base ai contributi versati) l’altro dall’Inps assistenziale (che graverebbe sulla fiscalità generale) co magari possibilità di riscatto per le pensioni baby e oro per la parte non versata.
Penso che a parte questa soluzione la soluzione più ovvia sia il passaggio alla previdenza privata così come fatto in Cile a suo tempo, di sicuro quello che non si può fare è mandare la gente in pensioni con età anagrafica incompatibile con quella lavorativa e senza permettere il ricambio con i giovani, con assegni ridicoli con il costo della vita, considerando inflazione e salari medi a livelli infimi.
Bravissimo!
Ho sempre detto che con bistecche di volpe e latte di faina anche i casi più disperati si possono recuperare…