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Il caso svedese: “Birra a buon mercato e i dee radicali”!

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di JOHAN NORBERG All’inizio degli anni ’90, la Svezia attraversava una crisi finanziaria devastante: debito pubblico alle stelle, crollo del mercato immobiliare, disoccupazione alle stelle. Vent’anni di esperimenti socialisti erano naufragati. Per i giovani era un tempo d’incertezza ma anche di ricerca di nuove idee. Accanto ai think tank liberalI come Timbro c’era anche un gruppo radicale: The Freedom Front, che gestiva uno speakeasy nel seminterrato del centro di Stoccolma. Era un ibrido tra salotto intellettuale, bar clandestino e protesta politica. Qui si stampava la rivista Nyliberalen, si organizzavano conferenze ogni martedì e si sfidavano le rigide leggi sugli orari dei locali, aperti dopo mezzanotte in violazione delle licenze. Per entrare serviva essere membri o citare Bastiat, Hayek o Rand. L’ambiente mescolava studenti, punk, goth, avvocati, professori, con discussioni su moneta, disobbedienza civile e libero mercato. Il motto sulle tessere era: “Bir
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