di ROMANO BRACALINI
Da un ventennio l’Italia è entrata in una profonda crisi istituzionale e morale: discredito della politica, discredito dei partiti, benché le oche del Campidoglio avvertano, allarmate, che non tutto è “marcio” (lo ha detto il solito Napolitano). Leggi, regole, educazione, senso civico hanno perduto ogni significato originario e non c’è più verso di frenare il malcostume dilagante, il disprezzo d’ogni convenzione, la brutalità della nostra vita associata.
Non solo stentiamo a diventare un popolo ordinato e civile, una nazione normale, ma restiamo i peggiori nemici di noi stessi. La nostra debolezza di carattere ci viene da secoli di decadenza.
Non abbiamo fatto una rivoluzione e siamo piuttosto portati a subire le angherie in silenzio, chinando la testa. Gianluca Marchi ricordava la “coglioneria” dei lombardi che si sono sempre fatti governare dagli altri, al massimo mugugnando. Sotto i francesi i milanesi cantavano:
Libertè, fraterni
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