di GIANLUCA MARCHI
Premesso che considero Pierluigi Bersani e il gruppo dirigente storico del Pd sconfitti in maniera pressoché definitiva dal voto di fine febbraio, devo ammettere che il segretario dei Democrats ha chiuso la partita delle presidenze di Camera e Senato in maniera più brillante di quanto si potesse immaginare, visto il cul de sac in cui apparentemente s'era infilato rifiutando qualsiasi forma di collaborazione con Berlusconi e il Pdl e intestardendosi a inseguire il M5S che di farsi "blandire" non aveva alcuna intenzione.
Fino a venerdì il fatto che il partito vincitore-ma non vincitore delle elezioni politiche insistesse su nomi come quelli di Dario Franceschini per la Camera e di Anna Finocchiaro per il Senato, con la variante di mollare la presidenza di Montecitorio ai montiani (Lorenzo Dellai) per avere in cambio i loro voti al Senato e magari anche in vista della complicatissima formazione di un governo, quelle mosse, dicevo, apparivano come la conferma
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