di PAOLO L. BERNARDINI
Il mio primo incontro con le barche del Lario avvenne, sorprendentemente, nel mare di Genova, antistante la Foce sommersa del Bisagno, tra la Foce quartiere, appunto, ancora in gran parte popolare, e l’Albaro tradizionalmente dei ricchi, al Circolo “Dario Schenone”, ove, assai amatorialmente, praticavo, da giovane, la voga. Erano acque tempestose e mefitiche, allora, prima che venisse installato, più o meno funzionante, un depuratore. Ne seppe qualcosa un amico, inghiottito con la barca nel canale di spurgo della fogna e uscitone malatissimo, e poi sfigurato per sempre. Vogavamo, dunque, su barche dette più o meno propriamente “lariane”. Praticavo, io, il due di punta, con un solo remo. E piuttosto che primeggiare nello sport, mi chiedevo già allora come mai una civiltà per eccellenza marinara, come quella genovese patria di lance e gozzi e leudi, dovesse ricorrere ad agili e lunghe “lariane” in legno, provenienti, appunto, da un miserrimo la
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