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Ben venga l’indipendenza, ma servono prima patti chiari!

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indipendenza__1di ENZO TRENTIN

Esistono ambienti indipendentisti veneti che si pongono domande speculative di questo tipo: «Per un indipendentista è più vantaggioso investire risorse intellettuali, fisiche ed economiche [magari candidandosi alle regionali] per seguire le vicende italiane, dalle cui sorti egli si vuole affrancare ben sapendo che non è dall’interno che le istituzioni italiane possono essere cambiate, come insegna la lunga storia della LN e del M5S; oppure appare più produttivo spendere quelle stesse risorse per prefigurare in quale nuovo Stato indipendente desidera vivere?»

La prima questione che salta agli occhi è che molti pseudo leader indipendentisti non hanno, o sembrano non avere, una memoria storica adeguata. Posta in altri termini, possiamo affermare che costoro hanno un’infarinatura dei fasti della Repubblica di Venezia che, a parole, aspirano a resuscitare. Ma quale? Quelle comunale delle origini, o quella patrizia? Ed eventualmente chi sarebbero gli omologhi odierni degli antichi patrizi? In compenso mancano della visione e dello spessore degli statisti. E la colpa è solo parzialmente imputabile a loro.

Essi, come tutti gli abitanti del Belpaese, hanno subito la propaganda delle vicende storiche risorgimentali. Il dibattito e la contesa sulla memoria del Risorgimento è riconoscibile come un dato costitutivo del confronto politico nelle varie stagioni dell’Italia unita. Al ricordo e al racconto del Risorgimento ci si è affidati per lungo tempo come veicolo privilegiato di una vasta opera di nazionalizzazione e di pedagogia civica e patriottica. Per decenni è prevalsa spesso una storia basata sull’aneddotica e sull’esaltazione di eroi ed eroismi quasi a senso unico. Nei libri scolastici, da oltre 150 anni si sono letti, a proposito del Risorgimento nel Sud, solo fatti e vittorie gloriose da parte dei garibaldini senza mai approfondire nulla delle crisi e delle sofferenze della popolazione che, inerme, spesso divenne vittima di feroci rappresaglie. Oggi questa visione gloriosa è un po’ tramontata, ma rimane la suddivisione manichea operata dai testi scolastici in buoni (pro Savoia) e cattivi (anti-Savoia) con ciò confermando l’annullamento della storia come processo, o rielaborazione di complesse logiche tra i fatti, e riducendola a strumentale collage di giudizi etico-politici. Buoni furono Vittorio Emanuele II, Cavour, Garibaldi, d’Azeglio e altri, cattivi Ferdinando II, Pio IX e così via.

Alcuni indipendentisti dei giorni nostri non hanno ancora rimosso questo dualismo: buoni sono coloro che inneggiano all’indipendenza, malgrado il loro pedigree di ex missini o ex leghisti o ex democristiani, di pseduo-autonomisti, di pseudo-federalisti, di fatto sono solo degli uomini di partito sino al midollo tanto da costruirsi il loro partito personale; mentre i cattivi sono i partiti politici italiani ed i loro aderenti e simpatizzanti. Con i quali, però, s’alleano in occasione delle elezioni.

Sorvolando gli innumerevoli autogoverni del popolo veneto, che non governano alcunché; sembrano tutti mancare d’una visione dell’immediato futuro emancipato. Sostanzialmente predicano,: «prima l’indipendenza; poi sarà il popolo ad organizzarsi per dire in che Stato vorrà vivere.» Affermazioni quanto mai azzardate per tre ordini di motivi: 1) dimostrano l’assenza di una levatura di statista; 2) mascherano dietro l’esercizio della sovranità popolare la loro assenza di progettualità istituzionale; 3) ignorano i conflitti tra fazioni, le lotte sordide e sanguinose scaturite in numerosi paesi non appena ottenuta l’indipendenza. Un esempio tra i tanti: l’Algeria.

Nel 1954 in Algeria vivevano 8 milioni di algerini musulmani (arabi e berberi) e 1 milione di “francesi d’Algeria” (pieds-noirs e ebrei). Nel 1954 erano presenti diverse organizzazioni politiche indipendentiste, fra cui l’Union démocratique du manifeste algérien (UDMA) di Ferhat Abbas (che nel maggio 1955 si unirà al FLN), il Mouvement national algérien (MNA) socialdemocratico di Messali Hadj e l’Associazione degli ulema musulmani algerini. Tuttavia, il ruolo decisivo sarà giocato dalla più radicale, il Comitato Rivoluzionario d’Unione e d’Azione (CRUA), fondato nel marzo 1954 da Hocine Aït Ahmed, Ahmed Ben Bella, Krim Belkacem, Mostefa Ben Boulaïd, Larbi Ben M’Hidi, Rabah Bitat, Mohamed Boudiaf, Mourad Didouche e Mohamed Khider, molti dei quali provenivano dall’esperienza del PPA, del MTLD e soprattutto dell’OS. Mentre alcuni (Ben Boulaïd, Bitat, Belkacem, Didouche, Ben M’Hidi) erano a capo delle zone interne, altri (Ait Ahmed, Ben Bella e Khider) operavano dall’estero (per esempio dal Cairo) gestendo l’importazione clandestina di armi verso l’Algeria; Boudiaf coordinava le zone e presiedeva il CRUA. Il 10 ottobre dello stesso 1954 il CRUA decise di passare alle armi e formò il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), avente per obiettivo l’indipendenza, il cui esercito prese il nome di (ALN).

partiti_venetiQuesto lungo elenco di nomi e sigle serve a far riflettere coloro che lamentano l’eccessiva frammentazione dell’«offerta» indipendentista veneta. Tuttavia, una parziale unione di forze la si ebbe quando si passò alla lotta armata del FLN, ma poiché allo stato attuale nessuno perora conflitti armati, l’unione potrebbe essere possibile solo laddove uomini sinceri e intellettualmente onesti si sedessero attorno ad un tavolo per prefigurare un assetto istituzionale condiviso. Una costituente insomma; i cui risultati dovrebbero essere spesi all’esterno per trovare aprezzamento internazionale alla causa indipendentista veneta, ed all’interno per certificare il consenso mediante l’esercizio della sovranità popolare. Che non può essere relegato alla “riserva indiana autoctona”, ma convalidato da tutti i residenti nell’aerea geografica di riferimento.

Perché materializzare un’operatività del genere? È la storia dell’Algeria (ma non solo) che ce lo insegna: immediatamente dopo aver ottenuto l’indipendenza (5 luglio 1962), l’Algeria fu scossa dai conflitti interni fra le diverse fazioni che aspiravano al potere, in particolare tra il GPRA (Governo Provvisorio della Repubblica Algerina, firmatario degli accordi di pace di Evian con la Francia), più pluralista diretto da Abbas e Belkacem (sostenuto da Ait Ahmed, Bitat, Mohamed Boudiaf), e l’esercito partigiano ANP (Armata Nazionale Popolare), più militarista e dittatoriale condotto da Houari Boumedienne (sostenuto da Ben Bella e Khider).

In un primo tempo, lo stesso Houari Boumedienne cercò l’appoggio del capo storico (dell’interno) Mohamed Boudiaf promettendogli il sostegno dell’Esercito qualora avesse accettato di guidare la nuova Algeria, soprattutto, per ricomporre la frattura tra politici e militari.

L’8 settembre 1963, l’Assemblea Costituente emise una nuova Costituzione in cui l’Algeria veniva dichiarata repubblica presidenziale, e Ben Bella divenne presidente. La manovra di Ben Bella fu vista da molte parti come il primo passo verso l’instaurazione di un regime militare e comunque a partito unico (il “nuovo” FLN).

Il 19 giugno 1965, il colonnello Boumedienne diede luogo al “raddrizzamento rivoluzionario” che nient’altro era se non un colpo di Stato. Alla morte di Boumedienne (27 dicembre 1978) salì al potere Chadli Bendjedid, il più anziano in grado fra i militari, che instaurò un regime presidenziale con mandato quinquennale del presidente.

Nel 1990, le elezioni amministrative furono vinte con il 54% dal Fronte Islamico di Salvezza (FIS) di Abassi Madani e Ali Belhadj, che, guidato da Abdelkader Hachani dopo l’arresto dei primi due, si aggiudicò anche il primo turno delle successive elezioni politiche (26 dicembre 1991).

L’11 gennaio 1992 l’esercito prese il potere con un colpo di Stato, rendendo inevitabili le dimissioni del presidente, che Chadli annunciò alla televisione.

Ci fu un periodo di repressione che durò due anni, censura dell’informazione e arresti di natura politica: sospese molte garanzie costituzionali, migliaia di militanti del FIS furono incarcerati.

L’immediata reazione islamista al colpo di Stato fu la formazione del Movimento Islamico Armato (MIA) dedito alla guerriglia contro l’esercito e la polizia nelle montagne e del più radicale Gruppo Islamico Armato (GIA).

A sorpresa, l’11 settembre 1998 Zéroual annunciò le dimissioni. Le elezioni presidenziali del 15 aprile 1999 videro la vittoria di Abdelaziz Bouteflika, erede politico di Boumedienne e tuttora presidente.

Le elezioni parlamentari del 17 maggio 2007 hanno segnato la partecipazione 35,6% degli aventi diritto.

Questi nomi, eventi e date per dimostrare che non esiste una via democratica, pacifica e condivisa per l’indipendenza, o quanto meno essa è assai difficile. Invece  sono sempre esistite le sanguinose lotte per il potere. Ed un modo per evitarle o limitarle risiede nel vecchio adagio: prima patti chiari, e poi garanzie che vengano rispettati.

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