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Celentano non cambia, il solito giullare in pantofole

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di CARLO ZUCCHI Lunedì sera non è semplicemente andato in onda il solito vaniloquio di Adriano Cementano. È andata in onda l’ ennesima autocelebrazione di uno dei maggiori esponenti di una generazione, quella dei magnifici anni Sessanta, che ha occupato il palcoscenico oltre 40 anni fa e non vuol più saperne di sgombrare. Non è un caso che abbia perorato la causa di un governo come quello presieduto da Romano Prodi; un governo immobile, attaccato alle poltrone come Celentano e la sua generazione sono attaccati al palcoscenico. Sbaglia chi ha letto in quella marchetta una pura e semplice forma di piaggeria nei confronti del potere. No, oltre a quello c’è di più. Una sorta di comunanza di intenti, spontanea quanto inconscia, perché entrambi vivono l’uscita di scena come il peggiore degli incubi. Insomma, la pensione a 50 anni va bene per tutti gli italiani, tranne che per questi tromboni. Celentano è lo specchio di un paese che negli anni Sessanta è entrato nel novero
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