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Ci mancava la nostalgia della grande industria di stato

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di MATTEO CORSINI

In un periodo in cui lo Stato sta intervenendo sempre piĆ¹ di frequente, direttamente o per il tramite della Cassa Depositi e Prestiti, il verbo statalista ormai viene proferito ad alta voce, senza remore. Per esempio, questo ha recentemente dichiarato il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, nel corso dell’assemblea degli industriali a Pordenone: ā€œL’Italia ha bisogno di grande industria di stato, da cui possano gemmare opportunitĆ  per il territorio e le imprese, perchĆ© a differenza di altri player planetari stiamo perdendo i benefici che erano garantiti dalla sua presenzaā€.

Non dubito che vi sia chi rimpiange la stagione dello Stato imprenditore. Per chi ā€œgemmanoā€ le opportunitĆ ? Di certo per chi ne diventa dipendente. Ovviamente per chi, su nomina politica, ne diventa dirigente o amministratore. Sicuramente per quanti, a vario titolo, forniscono consulenze seriali e ben remunerate. Anche, perchĆ© no, le imprese che ne formano lā€™indotto.

Con un poā€™ di pazienza tutti questi soggetti sono individuabili. Sono ā€œciĆ² che si vedeā€, per ricordare il saggio di Frederic Bastiat. PerĆ² cā€™ĆØ anche ciĆ² che non si vede, quanto meno non altrettanto nitidamente. Per esempio chi paga il conto. Quella particolare categoria di stakeholders, ossia chi paga le tasse, che sopporta lā€™onere dellā€™industria di Stato (grande o meno grande che sia), senza avere alcun beneficio e, soprattutto, alcuna voce in capitolo.

Costoro dubito che perdano benefici dallā€™assenza della industria di Stato.

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