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Giorgia Meloni, la “Tobin Tax” e un insulto alla libertà!

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di MATTEO CORSINI

Tra le fonti di finanziamento introdotte nella bozza di legge di bilancio 2026 dal governo vi è il raddoppio dell’aliquota della tassa sulle transazioni finanziarie, nota anche come Tobin tax.  L’aliquota passa da 0,1% a 0,2% per le transazioni concluse su sedi di negoziazione e da 0,2% a 0,4% per le negoziazioni al di fuori delle sedi di negoziazione. Fondamentalmente allo Stato andrà, per ogni acquisto, un balzello che sovente supererà le commissioni pagate all’intermediario finanziario che curerà la negoziazione. Ma non a fronte di un servizio specificamente richiesto, bensì per alimentare genericamente la spesa pubblica.
 
Questa tassa, ignobile come tutte le altre ma con in più la motivazione che contrasterebbe la “speculazione” (stupidata, questa, già tale fin dai tempi, oltre 50 anni fa, in cui Tobin lanciò l’idea) fu introdotta in Italia (sono pochi gli altri Paesi ad applicarla, tra cui l’immancabile Francia) dal governo Monti (autore di altre perle, come il superbollo auto) e genera a oggi un po’ più di mezzo miliardo all’anno di gettito.
 
A quanti nella maggioranza credono che la riforma del TUF risolva i problemi di un mercato borsistico italiano asfittico, andrebbe fatto notare che questo provvedimento non aiuta. Tra l’altro, la cosa più allucinante resta che questa tassa contro la “speculazione” colpisce di più le negoziazioni di quote societarie che avvengono al di fuori del mercato e che, generalmente, non hanno alcuna finalità riconducibile alla “speculazione”.

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