di GILBERTO ONETO
Nei posti di vacanza più cari e alla moda si sente spesso vociare in romanesco, nelle località termali e in crociera si sente baccagliare in romanesco. Se uno scende da un motoscafo di quelli pretenziosi (mai da una barca a vela) o da un’automobile di quelle più care e pacchiane, è quasi sicuro che emani picchi di decibel in romanesco. Lo stesso succede nei telegiornali, nei film, nei talk-show. Siamo soverchiati da orde di bauscioni che ostentano ricchezza e ganasseria in romanesco.
Se si vanno a vedere le statistiche, salta fuori che Roma e dintorni hanno redditi pro-capite fra i più alti d’Europa e che lì si pagano tasse come in Brianza. Eppure quasi non c’è una fabbrica, una attività produttiva di qualche genere; nessuno ha mai incontrato un imprenditore romano, i sindacati metalmeccanici fanno fatica a trovare iscritti nell’Urbe. Tutta questa ostentata prosperità da dove salta fuori?
Dal lavoro di altri. C’è una straordinaria costante mil
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