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Il “femminicidio” non è forse un assassinio? Il linguaggio totalitario e il destino dei più deboli

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di PAOLO L. BERNARDINI La lingua, soprattutto quella utilizzata dai media, eterodiretti dalle forze “progressiste”, crea un grave effetto distorsivo della realtà, ad uso dei suoi manipolatori. Orrore, di certo, generano i continui omicidi di donne, non meno ovviamente che le morti sul lavoro: entrambe le tragedie occupano ampia parte, da tempo, sui giornali. Non sono certo fenomeni nuovi. Per citare un cantautore a me carissimo – anche se ideologicamente da me molto lontano – Francesco Guccini, egli fece oggetto di alcune sue rare canzoni proprio le morti sul lavoro, mentre anche gli omicidi con donne come vittime sono stati cantati, ampiamente, nella cultura pop italiana, e non solo italiana. Tuttavia, nel momento in cui si usa il conio recente “femminicidio”, si crea una dimensione percettiva diversa. Un “femminicidio” è un omicidio. D’accordo che i politici e giornalisti italici, la stampa igienica, forse non sanno che la parola omicidio deriva dal latin
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