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Il senso dell’antipolitica è la ricerca in proprio della felicità

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di ARTURO DOILO L’antipolitica non è un’invenzione recente, né un capriccio da talk show. È un sentimento antico, che attraversa i secoli e riaffiora ciclicamente quando gli individui percepiscono che il potere organizzato – lo Stato, l’apparato, il governo – non è più uno strumento al loro servizio ma un padrone da temere. Già Lao Tse, il grande saggio taoista, ammoniva che il potere governativo, con «le sue norme perfino più numerose dei peli di un bue», rappresentava un male peggiore delle bestie feroci. Per lui la felicità dell’individuo era il vero scopo della vita associata; laddove le istituzioni sociali ostacolavano tale ricerca, esse dovevano essere ridimensionate, persino abolite. A distanza di secoli, la medesima intuizione risuona nelle pagine di Étienne de La Boétie. Nel suo Discorso sulla servitù volontaria, scritto a metà del Cinquecento, il giovane poeta francese si stupiva dell’obbedienza cieca degli uomini verso altri uomini, e dell’ass
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