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Indipendentisti alla don abbondio: la “paura” dei padani li rende asserviti

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di GIANFRANCESCO RUGGERI La paura è qualcosa con cui tutti noi, chi più chi meno, dobbiamo convivere, ripeto chi più chi meno, persino chi giura e spergiura di non aver paura di niente e di nessuno deve conviverci, anzi quanto più uno giura e spergiura, tanto più dimostra di aver paura anche lui, paura di poter apparire debole e indifeso, condizione che prima o poi tutti noi proviamo. Cosa c’entra tutto ciò con l’indipendentismo? C’entra, eccome se c’entra, ovviamente noi indipendentisti manifesti non abbiamo nessuna paura a dir che l’i-taglia non ci piace, che non è la nostra nazione, non abbiamo timore ad invocare l’indipendenza, però evidentemente non è così per tutti, dato che il sondaggio di Repubblica è stato per molti di voi una piacevole e inaspettata sorpresa. La maggior parte di voi era infatti convinta che fuori dal Veneto le aspirazioni indipendentiste fossero ridotte al lumicino, poco o nulla in Lombardia e zero assoluto in Piemonte. Invece si
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4 COMMENTS

  1. La generazione che ha fatto la guerra , generazione costituita da persone scomparse o che stanno per scomparire, era costituita da elementi che consideravano la morte come un doloroso incidente , ma che, se capitava, peccato, è toccato a me…..!
    Ora questa generazione è costituita da persone abituata a vivere “col culo al caldo ” e con il costante timore di perdere , non dico la vita, ma anche solo qualcuno dei privilegi che la generazione precedente ha dato loro.
    Tirate voi le somme.

  2. Ricordo semplicemente che un sondaggio SWG del, mi pare, 2010 riportava che oltre il 60% degli intervistati al Nord era abbastanza/molto favorevole alla secessione del Nord da Fallitaglia.

  3. Articolo molto interessante, che però confonde l’esibizione dei desideri indipendentisti con il soddisfacimento dei medesimi. E’ fuor di dubbio che per molte persone la soddisfazione è causata dalla partecipazione ad processo, ma per non pochi è la risultante del conseguimento di uno scopo. Da qui dipende, forse, il pensiero che l’articolo sottintende: che l’indipendenza da uno stato possa essere raggiunta aumentando la propaganda. Ed è forse per questo motivo che l’articolo, che resta comunque interessante, non distingue i meccanismi che consentono alle istituzioni pubbliche l’accentramento delle decisioni, dai meccanismi che incrementano il potere di un partito o di un movimento all’interno dello stato. Si ipotizza che l’indipendenza sia raggiungibile (se non già raggiunta come si potrebbe pensare leggendo l’entusiasmo che accompagna l’apologia delle consultazioni catalane, dove invece l’indipendenza non è ancora stata ottenuta) ottenendo un consenso molto diffuso; la mancata diffusione dipenderebbe, nell’articolo, da un atteggiamento poco assertivo dei militanti indipendentisti. Anche qui, temo, si finisce per identificare ciò che non è identificabile: la capacità persuasiva e l’assertività (quest’ultima è una disposizione alla discussione proficua, che potrebbe, perché no, condurre il militante a rinunciare all’obbiettivo dell’indipendenza). Si aggiunge quindi un problema, invece di toglierlo. L’articolo è, ripeto ancora, molto interessante e, per questo motivo, ampiamente criticabile. Non è sufficiente ed è inadeguato lo spazio di un post, quindi, caro Gianfrancesco, ti prometto una replica, non so quando. Per il momento mi limito ad inviare a te ed alla tua famiglia, pur non avendo il piacere di conoscervi di persona, i miei più sinceri auguri di buon proseguimento, non mancando di ringraziarti per i tanti spunti di riflessione e di attenzione, i tanti inviti all’intelligenza che continui, attraverso i tuoi articoli, a regalarci.
    Morandini Alessandro

    • in effetti ho saltato un passaggio, infatti è vero che testimoniare di essere indipendentisti dà soddisfazione ma non significa ottenere l’indipendenza. Più correttamente intendevo dire che esprimersi è il primo passo per ottenere l’indipendenza, per essere al livello dei catalani che per lo meno se la stanno giocando e non al nostro livello che invece rimaniamo stupiti quando scopriamo di rappresentare il 37% dei piemontesi. Insomma dopo tanti “mi” occorre aggiungerci anche un “piaci” per conquistare una morosa, sono d’accordo che il più delle volte non è sufficiente, ma almeno proviamoci senza paura ed sarà già un passo in avanti. Ti ringrazio per i complimenti e ti confido che quello che mi auguravo era proprio una tua replica in materia per inquadrare al meglio il concetto che io da non esperto del settore ho appena abbozzato e già il tuo commento è stato utile per permettermi di precisare il mio ragionamento.

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